Reddito fisso, un anno di sfide

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I mercati finanziari sono diventati sempre più simili a un gioco d’azzardo in cui il casinò mette a disposizione un margine di copertura. Solo che sui mercati non è la casa da gioco a offrirlo, bensì le banche centrali. Ormai da decenni, gli istituti centrali di tutto il mondo, in particolare la Federal Reserve USA, in occasione di shock imprevisti o recessioni economiche, intervengono con misure di incentivazione monetaria che supportano gli asset rischiosi. Pur risultando giustificate al momento, col tempo tali misure inducono gli investitori e gli operatori a pensare che i mercati godano di ottima salute. Questa idea ha l’effetto di mutare il comportamento degli investitori, aumentandone la propensione al rischio e spingendoli sempre più a ignorare scomode realtà. I mercati sembrano solidi all’apparenza, ma periodicamente dimostrano la loro debolezza e fragilità. E le banche centrali intervengono continuamente, incoraggiando tuttavia quegli stessi comportamenti che l’hanno determinata.

Il 2020 rappresenta un caso esemplare in tal senso. Dopo quello che è stato il più grave shock economico negativo a livello globale dalla seconda guerra mondiale a oggi, le azioni si attestano in prossimità o addirittura al di sopra i propri massimi storici e le prospettive rialziste tra gli investitori si collocano all’estremità superiore della forbice dell’ultimo decennio. Indice di incongruenza? L’idea che va per la maggiore è che il 2021 sarà un anno migliore per la crescita, ma se così non fosse, ci penseranno le banche centrali a introdurre nuove misure di incentivazione mediante iniezioni di liquidità e acquisti di asset. In entrambi i casi, le azioni si muovono al rialzo. In un sistema del genere, il prezzo pagato per asset rischiosi come le azioni non ha più molto peso. Le banche centrali coprono le spalle, quindi via tutti a puntare senza pensieri.

Due scenari per il reddito fisso

Mentre per le azioni entrambi gli scenari possono sfociare in rialzi, per le obbligazioni potrebbero avere conseguenze drasticamente diverse.

  1. Se il 2021 non risultasse così roseo e positivo come previsto, un nuovo intervento delle banche sarebbe praticamente inevitabile e, dato l’ulteriore acquisto di obbligazioni, non sarebbe di certo il momento per assumere posizioni ribassiste sull’asset class. Anche i governi potrebbero scendere in campo, il che comporterebbe un aumento del deficit e dell’offerta di titoli sovrani. Tuttavia la crescita debole e le forze disinflazionistiche prenderebbero il sopravvento relegando in un angolo i timori per le finanze pubbliche o le probabilità di trovare acquirenti per il debito emesso dallo Stato.
  2. Se il 2021 portasse verso un rafforzamento della crescita e dell’inflazione, gli investitori obbligazionari potrebbero trovarsi in difficoltà. In uno scenario del genere, sarebbe normale attendersi un rialzo dei rendimenti e un irripidimento delle curve, ed è proprio quello che si aspetta il consensus per il 2021. Tale aspettativa non è del tutto mal riposta. Le campagne vaccinali stanno accelerando il passo e, in considerazione dell’alta efficacia prevista, è ragionevole ritenere che le economie torneranno a una quasi normalità nel secondo semestre dell’anno.

Rischio inflazione

Esiste però anche la possibilità di un aumento dell’inflazione, che decreterebbe ingenti fallimenti tra le piccole e medie imprese, i negozi locali, le grandi marche e i fornitori di servizi locali. La conseguente riduzione dell’offerta indurrebbe un rialzo dei prezzi. Anche le quotazioni petrolifere potrebbero contribuire in misura importante all’inflazione primaria. Dalla fine del primo trimestre circa, l’inflazione dovrebbe risultare decisamente elevata su base annuale, anche in considerazione del basso livello del 2020. Un notevole aumento potrebbe essere registrato anche nei prezzi di altre materie prime, in parte per la prevista ripresa nella domanda e in parte a seguito delle limitazioni e delle interruzioni nell’offerta indotte dalla pandemia.

In tale contesto, che ruolo svolgeranno le banche centrali? Una stretta monetaria sembra fuori questione. La ripresa economica ha un lungo percorso da compiere e i danni inferti dalla crisi sanitaria non sono stati ancora riparati, benché temporaneamente mascherati dall’ondata di liquidità post-pandemia. Le banche centrali saranno ancora più caute nel rimuovere le misure di allentamento monetario di quanto non sia accaduto dopo la crisi finanziaria globale del 2008. L’aumento dell’inflazione e il rafforzamento della crescita, tuttavia, possono limitare le possibilità di ulteriori allentamenti monetari. In un mondo sovraindebitato, i crescenti costi di finanziamento potrebbero indurre gli investitori azionari a una seria riflessione. È possibile che le fragilità sottostanti del mercato azionario si ritrovino nuovamente esposte agli occhi di tutti, ma con una minore capacità di intervento da parte delle banche centrali? Chissà… In tal caso, non sarebbe certamente un contesto sfavorevole per chi investe in titoli di Stato. Tutto questo porta a chiedersi quanto sia effettivamente stabile l’equilibrio di mercato dettato dal consensus.

Dopo decenni trascorsi nel tentativo di stimolare l’inflazione, potrebbe essere proprio lei la forza che obbliga le banche centrali a smettere di dettare le regole del gioco?