L’interesse per strategie a bassa volatilità
In termini storici, il mercato rialzista delle azioni iniziato nel 2009 dopo la crisi finanziaria mondiale è ormai più prossimo alla fase conclusiva che a quella iniziale.
L’entusiasmo per le strategie in azioni difensive riaffiora quindi dopo oltre 10 anni di rialzo quasi ininterrotto degli indici di borsa. Esiste una miriade di definizioni di una strategia in azioni difensive, ma preferiamo basarci sugli obiettivi di quest’ultima, ossia la riduzione della volatilità e della perdita massima (maximum drawdown) e la sovraperformance adeguata al rischio. Le strategie a bassa volatilità (Low Vol) s’inseriscono in quest’ottica.
Il fattore Low Volatility
Le strategie a bassa volatilità esistono per lungo tempo e sono basate su alcune caratteristiche statistiche delle azioni e su un algoritmo di classificazione. Il Low Vol, insieme alle dimensioni, alla valutazione e al momentum, è peraltro uno dei fattori, denominati anche premi di rischio o anomalie di mercato, ampiamente documentati e analizzati dagli operatori del settore e dagli studiosi. La storia di questo fattore è però più contrastata in quanto questa anomalia di mercato è in contraddizione con il principio fondamentale della finanza di mercato, ossia l’idea che il rendimento è proporzionale al rischio. Gli attivi meno rischiosi dovrebbero quindi, in teoria, generare una performance più modesta. Purtroppo per questa bella teoria, le prove empiriche accumulate nel corso degli ultimi decenni rivelano invece che le azioni a bassa volatilità offrono un rendimento ponderato per il rischio superiore a quello del mercato, in modo continuato e indipendentemente dalle aree geografiche, dai segmenti di mercato e dai periodi.
Gli economisti statunitensi Robert Haugen e James Heins sono stati i primi a smuovere le acque nel 1972 presentando delle prove del miglior rapporto rischio/rendimento delle azioni a bassa volatilità. In un’epoca in cui predominavano la teoria moderna del portafoglio (MPT) e il modello di valutazione degli attivi finanziari (CAPM), il loro lavoro non ha suscitato grande entusiasmo. Il fatto che il rischio non comportasse un “premio” era semplicemente inconcepibile per gli esperti dell’epoca. Con il tempo e il nuovo millennio, questa anomalia è stata finalmente riconosciuta e confermata da numerosi studi di primo piano.
Gli investitori nei titoli a forte volatilità sono teoricamente consapevoli del rischio elevato, ma la possibilità di un maggiore guadagno motiva la loro domanda. Questa propensione per le lotterie è un fenomeno psicologico largamente documentato nel settore della finanza comportamentale. Un’altra spiegazione è che i gestori di attivi giudicati rispetto a un indice di riferimento sono spinti a investire in titoli con beta elevato, il che porta alla loro sopravvalutazione.
Maggiori guadagni e minori perdite
Per controllare il comportamento del fattore di bassa volatilità, abbiamo creato una strategia “naïve” priva di vincoli, investendo ogni mese a ponderazione uguale nei 100 titoli meno volatili dell’indice S&P 500. Il risultato per gli ultimi 20 anni è impressionante: quasi il 9% di sovraperformance annua con una riduzione della volatilità che supera il 20% e un netto miglioramento del rapporto rischio/rendimento. Benché le azioni a bassa volatilità evolvano in tandem con il mercato, l’ampiezza delle fluttuazioni è attenuata a causa della loro sensibilità più bassa (beta inferiore a 1). L’interesse del Low Vol, tuttavia, risiede nel fatto che questa strategia cattura in minor misura il ribasso che il rialzo e presenta quindi un profilo di performance contraddistinto da un’asimmetria positiva. L’osservazione empirica delle fasi rialziste e ribassiste successive dell’indice S&P 500 dal 2000 conferma che la sovraperformance accumulata durante i periodi di ribasso è superiore alla sottoperformance registrata durante i periodi di mercati rialzisti, evidenziando quindi un miglior rapporto rischio/rendimento.
Si tratta di un dato matematico ben noto in finanza: per sovraperformare a lungo termine è più importante limitare i danni provocati dai mercati ribassisti che massimizzare la performance nei mercati rialzisti. Una perdita di -5% è compensata da un rialzo del 5,3%, mentre un ribasso del 50% necessita una performance del 100% per ritornare al livello iniziale. Questo effetto di base sembra sostenere le azioni a volatilità bassa perché statisticamente cederebbero meno in caso di correzione delle borse. I gestori di attivi che si concentrano sulla minimizzazione dei drawdown sono rari, perché possono difficilmente permettersi di attendere una forte correzione e devono invece generare rapidamente una sovraperformance per conservare o attirare attivi in gestione.
Concentrazione settoriale
Per quanto i risultati storici del Low Vol siano incredibili, esistono numerosi detrattori e una strategia generica presenta rischi elevati, tra cui in primo luogo la concentrazione settoriale. La bassa volatilità di un’azione è imputabile a una minore incertezza sulle prospettive di un’impresa, che derivano da alcuni attributi fondamentali quali la stabilità dei redditi e dei flussi di cassa, nonché un bilancio solido. Alcuni settori di attività si distinguono sotto questo punto di vista e nell’ambito di uno stesso settore si constata generalmente un livello di volatilità alquanto omogeneo. Ne risultano scommesse settoriali, come dimostrato dal nostro portafoglio Low Vol di base che in media è stato sovraponderato sui servizi alle collettività e i consumi non ciclici, e sottoesposto ai valori tecnologici nel corso degli ultimi 20 anni. Queste deviazioni settoriali presentano un rischio di concentrazione esponendo una quota importante del portafoglio agli stessi fattori di rischio (ad esempio, macroeconomici o legati alla regolazione). Per quanto la tentazione di ridurre queste distorsioni settoriali sia forte,
