L’aumento della speranza di vita dovrebbe comportare l’incremento dell’età pensionabile a 67 anni nel 2019
Sono stati pubblicati pochi giorni fa dall’Istat i nuovi Indicatori di mortalità tra cui, di particolare rilevanza per la sostenibilità finanziaria e l’evoluzione del nostro sistema previdenziale, i dati sula speranza di vita
Più nello specifico viene evidenziato come la speranza di vita alla nascita si attesta a 82,8 anni (+0,4 sul 2015, +0,2 sul 2014) e nei confronti del 2013 risulta essersi allungata di oltre sette mesi.
La speranza di vita alla nascita risulta come di consueto più elevata per le donne – 85 anni – ma il vantaggio nei confronti degli uomini – 80,6 anni – si limita a 4,5 anni di vita in più. La speranza di vita aumenta poi in ogni classe di età. A 65 anni, è questo il fattore fondamentale per l’incremento dell’età pensionabile, arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013. A tale età la prospettiva di vita ulteriore presenta una differenza meno marcata tra uomini e donne (rispettivamente 19,1 e 22,3 anni) che alla nascita.
“Leggendo” la realtà demografica in ottica evolutiva si sottolinea come in 40 anni fa la probabilità di morire a 65 anni di età si è più che dimezzata. In termini previdenziali l’ aumento della speranza di vita a 65 anni di 5 mesi dovrebbe riflettersi (ma il condizionale è d’obbligo) in un aumento dell’età pensionabile a 67 anni dal 1 gennaio 2019, che dovrebbe essere sancita da un decreto direttoriale da emanare entro la fine dell’anno, per effetto del meccanismo automatico rappresentato dall’indicizzazione dell’età pensionabile alla speranza di vita che oltre a toccare la sostenibilità del sistema tende anche ad una maggiore adeguatezza delle prestazioni.
Procastinare la prestazione nel contributivo significa infatti incrementare il montante virtuale da cui discenderà cioè una prestazione più elevata. Fino ad ora sono stati prodotti due aggiornamenti; il primo relativo al triennio 2007-2010; il secondo al triennio 2010-2013, richiesto nel 2014 ed entrato in vigore dal 1° gennaio 2016. Avendo il D.L. 201 del 2011 innalzato l’età pensionabile a 66 anni e 7 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2018, l’aggiornamento successivo dei requisiti entrerà in vigore dal 1° gennaio 2019 e sarà costruito proprio sul triennio 2013-2016. Dal 1° gennaio 2021, poi, gli aggiornamenti saranno su base biennale.
L’innalzamento dell’età pensionabile è un tema delicatissimo , oggetto di un forte dibattito politico e sindacale. Le parti sociali, ma anche alcuni partiti politici e le Commissioni Lavoro di entrambi i rami del Parlamento, chiedono di rimeditare la decisione considerando che il nostro Paese è già, in ambito europeo, tra quelli in cui si va in pensione più tardi. Ragioneria Generale dello Stato, Corte dei Conti, Banca d’Italia e Inps considerano però troppo oneroso per i conti pubblici non applicare la normativa.
Il Governo ha avuto fino ad ora una posizione attendista , da un lato manifestando la volontà di muoversi entro il “sentiero stretto” dei vincoli di finanza pubblica indicati dal Ministro Padoan, dall’altro mantenendo una cauta apertura al dialogo.
Cosa potrebbe succedere, considerando la ormai prossima consultazione elettorale ? Le ipotesi maggiormente accreditate sono essenzialmente tre. Una prima via potrebbe essere quella di un aumento parziale dell’età pensionabile (3-4 mesi) . Altra possibilità è quella prevedere un intervento “selettivo” con la esenzione dell’incremento per i lavori gravosi collegati all’Ape social. Last but not least c’è la ipotesi di un rinvio di sei mesi della decisione amministrativa con la costituzione di una commissione ad hoc per la revisione del meccanismo

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