La certificazione ESG in Europa: a che punto siamo e dove stiamo andando. Il confronto con la Svizzera
Tra regolamenti UE sempre più stringenti, etichette nazionali e soft law svizzera, la finanza sostenibile cerca standard credibili per evitare il greenwashing e dare certezze a investitori e gestori.
Certificazione ESG: non un unico bollino, ma un mosaico
Quando parliamo di “certificazione ESG” in Europa, non esiste un unico timbro ufficiale. Esiste piuttosto un ecosistema di norme, etichette e rating che, insieme, definiscono cosa può essere venduto come “sostenibile”. Sul fronte europeo, l’architettura ruota attorno a tre pilastri:
– Tassonomia UE per definire quali attività sono ambientalmente sostenibili (Reg. 2020/852).
– SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) che impone obblighi di trasparenza ESG a gestori e prodotti.
– La nuova regolazione sui rating ESG (Reg. 2024/3005), pensata per rendere più affidabili e trasparenti i giudizi delle agenzie specializzate, in vigore dal 2025 e applicabile dal 2026.
A questo si aggiungono i label nazionali (come il francese ISR o il tedesco FNG-Siegel) e iniziative come l’EU Green Bond Standard: Algebris Investments riporta che dal 2024 questo standard consente di usare il marchio “EU Green Bond” solo se almeno l’85% dei proventi finanzia attività allineate alla tassonomia.
Il quadro è ambizioso, ma anche frammentato. Non sorprende che testate come Financial Times e Reuters parlino di una “giungla di etichette” e di un rischio crescente di greenwashing, cioè di prodotti che si presentano come verdi senza esserlo davvero.
Europa: dal boom ESG alla stagione del ripensamento. La revisione della SFDR e le nuove categorie
Negli ultimi anni l’Europa ha spinto con forza sulla finanza sostenibile. Ma il 2024-2025 ha aperto una fase più critica, in cui si sta cercando di riordinare e rendere più credibile il sistema. La Commissione europea sta rivedendo la SFDR, dopo che gli articoli 8 e 9 sono stati di fatto usati dal mercato come etichette ESG di fatto, pur non essendo nati con questa funzione. I regolatori europei hanno proposto di sostituirli con categorie più chiare, come:
“Sustainable” – prodotti effettivamente allineati a obiettivi ambientali/sociali misurabili;
“Transition” – prodotti che finanziano la transizione di aziende ancora non pienamente “verdi”;
talvolta un’ulteriore categoria “ESG collection” o simili per fondi che integrano fattori ESG in modo meno stringente
L’obiettivo dichiarato, ripreso da Financial Times e Handelsblatt, è ridurre confusione e costi di compliance, rendendo più leggibile per il risparmiatore cosa sta effettivamente comprando. Parallelamente, ESMA ha introdotto linee guida sui nomi dei fondi ESG, in vigore dal 2024-2025: usare termini come “sustainable” o “impact” senza criteri minimi ora è molto più difficile. Alcuni commentatori parlano di una sorta di “mini-label europeo” di fatto.
Gli effetti si vedono: secondo analisi riportate dalla stampa finanziaria britannica, i nuovi lanci di fondi “Article 9” (i più “dark green”) sono crollati ai minimi da anni, e molte case hanno rinominato o declassato i propri prodotti per timore di sanzioni o accuse di greenwashing.
Un controllo più stretto sui rating ESG
Con il Regolamento 2024/3005 sui rating ESG, l’UE ha scelto di trattare le agenzie ESG un po’ come le agenzie di rating del credito: obblighi di trasparenza su metodologie e conflitti di interesse; registrazione e supervisione a livello europeo; requisiti di governance. È un tassello importante: i rating ESG sono spesso alla base delle decisioni di investimento e dell’accesso ai label, ma finora operavano in un quadro normativo molto più vago.
La giungla dei label nazionali: Francia e Germania come casi scuola
Accanto alle norme UE, il mercato si affida a etichette nazionali che svolgono, di fatto, una funzione di “certificazione ESG”.
In Francia, il Label ISR (Investissement Socialement Responsable), sponsorizzato dallo Stato, è stato riformato nel 2024-2025 con criteri molto più severi su clima e fossili. Secondo Le Monde, la stretta ha portato a una riduzione dell’impronta di carbonio dei fondi certificati di circa il 10% e a un forte disimpegno dalle energie fossili, ma ha provocato anche l’uscita di circa un terzo dei fondi che non volevano – o non riuscivano – ad adeguarsi.
Nei Paesi di lingua tedesca (Germania, Austria, parte della Svizzera), il FNG-Siegel è diventato lo standard di qualità per i fondi sostenibili: prevede analisi ESG approfondite, criteri di esclusione e un sistema di “stelle” da 0 a 3. Di fronte all’evoluzione normativa europea, il label sta valutando di sdoppiarsi in più sotto-etichette (valori, transizione, sostenibile) per restare allineato al nuovo lessico regolamentare.
La stampa economica europea sottolinea un punto: questi label hanno aiutato molto i retail a orientarsi, ma rischiano a loro volta di finire sotto pressione, come dimostreranno inchieste come quelli de The Guardian sul fatto che alcuni fondi “verdi” europei detengono ancora miliardi di dollari in colossi fossili.
Possibili sviluppi in Europa: verso meno etichette e più sostanza
Guardando avanti, i trend che emergono da analisi e commenti su Financial Times, Reuters e dalla stampa italiana specializzata possono essere riassunti così:
Razionalizzazione delle categorie
La revisione SFDR dovrebbe portare a poche categorie chiare (“sustainable”, “transition”), rafforzate da indicatori standardizzati di sostenibilità.
Maggiore convergenza tra EU law e label nazionali
Label come ISR o FNG-Siegel stanno già aggiornando i propri criteri per allinearli a tassonomia, SFDR rivista e linee guida ESMA (maggiori esclusioni fossili, requisiti di allineamento a Parigi, ecc.).
Più enforcement sul greenwashing
ESMA ha già segnalato che le autorità nazionali hanno pochi casi formali all’attivo, soprattutto per limiti di risorse e dati; la prospettiva è di rafforzare controlli e sanzioni mano a mano che il quadro regolatorio si stabilizza.
In sintesi: la “certificazione ESG” europea si sta spostando dal marketing alla responsabilità regolata, anche se il percorso è ancora in corso.
Il modello svizzero: mercato in prima linea, Stato arbitro (ma sempre più presente)
La Svizzera segue una strada diversa, più principles-based e meno prescrittiva rispetto all’UE. Dal 2022 il governo elvetico promuove i Swiss Climate Scores, un set di sei indicatori che permettono agli investitori di valutare quanto un portafoglio sia allineato all’Accordo di Parigi (emissioni, esposizione a fossili/renewables, obiettivi net-zero, stewardship, ecc.). I punteggi sono volontari, ma stanno diventando un riferimento di mercato per gestori e prodotti che vogliono dimostrare serietà sul clima.
In parallelo, le associazioni di settore come l’Asset Management Association Switzerland e la Swiss Bankers Association hanno adottato regole vincolanti per i loro membri su integrazione dei rischi ESG, raccolta delle preferenze dei clienti e prevenzione del greenwashing in consulenza e gestione.
FINMA: dai soli obblighi di disclosure alla gestione attiva dei rischi
Il supervisore FINMA ha inizialmente lavorato sul piano della trasparenza sui rischi climatici per le grandi istituzioni. Con la nuova Circolare 2026/1 “Nature-related financial risks”, però, si passa a un livello successivo: banche e assicurazioni dovranno integrare in modo sistematico i rischi climatici e “nature-related” nella governance, nel risk management e negli stress test; l’applicazione è graduale dal 2026 al 2028, con un approccio proporzionale alla dimensione dell’istituzione. È, di fatto, una “certificazione” sul modo in cui il rischio ESG è gestito nel core del modello di business, più che sul singolo prodotto.
Greenwashing: dalla soft law alla norma di diritto privato
Dal 1° gennaio 2025 la Svizzera ha introdotto anche una norma mirata contro il greenwashing climatico nell’ambito della Legge contro la concorrenza sleale: qualsiasi claim sugli impatti climatici di azienda o prodotti che non sia oggettivamente verificabile può essere considerato pratica sleale. Il Consiglio federale ha chiarito nel 2024 che questa combinazione di autoregolamentazione rafforzata e norme mirate è il primo passo; resta sul tavolo la possibilità di ulteriori regole statali più vicine all’evoluzione del quadro UE.
La stagione del marketing facile sul tema ESG sta finendo. La stampa europea, da Le Monde a FT, fino ai quotidiani economici italiani, converge su un messaggio: la finanza sostenibile resta centrale, ma deve dimostrare coerenza misurabile, non solo narrazione.
Nella UE questo significa meno sigle e più sostanza nelle categorie SFDR, rating ESG regolati, label nazionali ripuliti dalle incoerenze. In Svizzera significa trasformare gli impegni volontari (Swiss Climate Scores, autoregolamentazione) in pratica gestionale e informativa robusta, sotto lo sguardo sempre più vigile di FINMA e del legislatore.
Per chi investe e per chi comunica la “certificazione ESG” non sarà più solo un logo in copertina, ma un terreno dove regolatori, mercati e opinione pubblica verificheranno con attenzione se dietro l’etichetta c’è davvero il cambiamento promesso.

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