La politica fiscale del Governo vista da sinistra. Intervista ad Alessia Potecchi
La politica fiscale del governo peggiora l’IRPEF ??? Che cosa dicono i giornali italiani
Le critiche alla manovra 2026 raccolgono un coro di allarme tra sindacati, economisti e opinione pubblica: secondo le analisi di La Stampa, Il Fatto Quotidiano, ecc., oltre alle associazioni di categoria, il presunto “taglio” dell’IRPEF finisce per penalizzare famiglie, pensionati e ceto medio.
Negli ultimi giorni la frase «La politica fiscale del governo peggiora l’IRPEF» ha guadagnato ampia circolazione nel dibattito pubblico. Diverse testate italiane evidenziano che il riassetto delle aliquote non è un semplice alleggerimento per i contribuenti, ma rischia di generare effetti regressivi e un aggravio per molte famiglie italiane.
Le critiche principali: perché l’IRPEF “peggiora” secondo la stampa
Tagli insufficienti, vantaggi per pochi
Secondo un’analisi pubblicata da La Stampa, la riduzione dell’aliquota dal 35% al 33% riguarderebbe solo i redditi tra 28.000 e 50.000 euro, con un beneficio massimo teorico di circa 440 euro all’anno per i contribuenti interessati.
Ma subito scatta il dibattito: critici come Il Fatto Quotidiano sostengono che l’operazione va “a vantaggio dei più ricchi”, denunciando un buco di bilancio da 20 miliardi e un malfunzionamento strutturale nella distribuzione del carico fiscale.
Secondo questa interpretazione, la riduzione annunciata non ridisegna davvero il sistema: lascia intatti gli scaglioni superiori, smorza la progressività, e rischia di creare una redistribuzione che premia chi ha già un reddito elevato.
Fiscal drag e perdita di potere d’acquisto
Un nodo spesso citato è quello del fiscal drag: per effetto dell’inflazione e dell’aggiornamento irregolare degli scaglioni e delle detrazioni, molti contribuenti finiscono in scaglioni più alti pur senza un vero aumento di potere d’acquisto. La conseguenza: una erosione reale di salari e pensioni, denunciata da sindacati come CGIL. Agenzia Stampa Italia segnl che in un contesto di costi energetici e inflazione ancora elevata, la mancanza di adeguamenti automatici amplifica le disuguaglianze, penalizzando in particolare le fasce medio-basse.
La denuncia non arriva solo da giornali o opinione pubblica, ma anche da soggetti istituzionali. La CGIL, ad esempio, ha avviato iniziative di mobilitazione per chiedere un patto fiscale che tuteli salari e pensioni colpite dal fiscal drag. La tensione tra governo e sindacati cresce, segno che la percezione del cambiamento non è minimamente accolta come una riduzione reale del fisco, ma piuttosto come un peggioramento del sistema di prelievo.
La somma di questi fattori, ovvero promesse di sgravi mantenute solo in minima parte, percezione di ingiustizia, difficoltà reali per salari e pensioni ha già generato mobilitazioni sindacali e proteste sociali. Le opposizioni politiche e parte del mondo economico parlano apertamente di “populismo fiscale”: un intervento che, dietro l’idea di alleggerire le tasse, costruisce una manovra che favorisce i ceti medi-alti, lascia indietro i più deboli e indebolisce la progressività del sistema tributario. Per i cittadini, la conferma avverrà solo, con l’arrivo delle prime buste-paga e le nuove dichiarazioni: si potrà capire chi ci perde davvero, chi invece guadagna, e quanto il cuneo fiscale e l’erosione reale del reddito incidano, mese dopo mese, sul potere d’acquisto.
Intervista ad Alessia Potecchi
L’economista Alessia Potecchi è membro del Dipartimento Economia e Finanze del Partito Democratico (PD) Nazionale.
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