Le misure principali della Manovra 2026: cosa cambia? Facciamo il punto ad oggi

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La manovra di bilancio per il 2026 introduce una serie di interventi fiscali e sociali destinati a influenzare redditi da lavoro, pensioni e trasformazioni contrattuali.
Il taglio dell’aliquota IRPEF per lo scaglione tra 28.000 e 50.000 euro: l’aliquota passa dal 35% al 33%.
La detassazione degli aumenti contrattuali e dei premi di produttività fino a determinate soglie reddituali: programma di circa 2 miliardi per incentivare i rinnovi salariali.
Agevolazioni per straordinari, turni festivi e notturni: imposta sostitutiva al 15% fino a un tetto annuo per le maggiorazioni.
Per le pensioni, incrementi moderati delle pensioni minime (+20 euro al mese per i soggetti in condizioni disagiate) e rallentamento dell’adeguamento all’aspettativa di vita.
Meccanismi di “sterilizzazione” per redditi elevati.

Secondo il portale QuiFinanza, la misura sull’IRPEF coinvolgerà circa 13,6 milioni di contribuenti e potrà generare un risparmio medio fino a circa 440 euro all’anno per chi rientra nel nuovo scaglione. 
Tuttavia, come osservato da RaiNews, gli stanziamenti sono di circa 2,8 miliardi per il taglio IRPEF e 1,9 miliardi per gli incentivi salari: «Taglio dell’Irpef al ceto medio da 2,8 miliardi. Incentivi per i salari: 1,9 miliardi».

Commenti della stampa finanziaria italiana

La reazione dell’analisi economico-finanziaria è abbastanza articolata.
Per esempio, Il Corriere della Sera evidenziava già da tempo che il taglio IRPEF «prometteva un taglio per tutti, ma dal 2026 lo negherà a chi guadagna di più: il tetto è quello dei 200 mila euro di reddito».
CreditNews segnala come «l’aliquota IRPEF per i redditi tra 28 e 50 mila euro scenderà… con aumenti in busta paga fino a 440 euro».
Invece La Stampa riporta il commento della CGIL: «Una manovra ingiusta e inadeguata», in quanto gli interventi sono considerati «parziali e insufficienti… lasciano escluse ampie fasce di lavoratori».
Anche Repubblica segnala che l’associazione Confesercenti considera l’impatto del taglio IRPEF «minimo su consumi». «La pressione fiscale si manterrà stabile al 42,8%».

In sintesi: la manovra viene vista come un segnale per il ceto medio, ma le critiche si concentrano sull’esiguità del beneficio rispetto alle attese, l’esclusione di fasce più alte o con redditi più ridotti e la necessità che gli aumenti contrattuali non restino solo un bonus una tantum ma proseguano in busta paga.

Impatti e simulazioni per fasce di reddito

Le simulazioni disponibili mostrano che per un contribuente con reddito lordo tra 28 000 e 50 000 euro il risparmio può aggirarsi fino a 440 euro annui grazie alla riduzione dell’aliquota. Per chi guadagna meno di 28 000 euro (categoria già agevolata) o più di 50 000 euro, l’effetto è molto più ridotto o nullo.
Inoltre, i lavoratori che ottengono rinnovi contrattuali con aumenti su redditi fino a 28 000 euro potranno beneficiare di tassazione agevolata dei suddetti aumenti e dei premi di produttività. Ad esempio, la CGIL segnala che per questi incrementi «il beneficio medio è di 126 euro». 
Per le pensioni minime, un incremento di 20 euro al mese significa circa 260 euro in più all’anno per i pensionati in condizioni disagiate.

Va tuttavia considerato che l’“effetto netto” sul reddito disponibile dipende anche dall’entità delle detrazioni e delle addizionali regionali/comunali: la manovra prevede misure specifiche per contenere l’effetto della riduzione solo per fasce medie-alte, come già segnalato dallo “sterilizzazione” oltre 200.000 euro.

Quali rischi e quali opportunità?

Da un lato, l’intervento rappresenta un segnale importante per dare un alleggerimento fiscale al «ceto medio» e dare stimolo ai salari e alla produttività. Dall’altro, permane il rischio che il beneficio sia troppo modesto rispetto alle aspettative e soprattutto che non sia duraturo: se la riduzione IRPEF riguarda solo una aliquota e non una revisione complessiva delle detrazioni, l’impatto può limitarsi al breve termine.

Le aziende che utilizzano i benefici sui premi e aumenti contrattuali devono poi garantire che questi non siano solo “una tantum” ma diventino strutturali, pena il rischio di una mancata fidelizzazione dei lavoratori. Dal punto di vista previdenziale, l’aumento delle pensioni minime è positivo, ma resta contenuto e accompagnato da misure sul ritardo dell’aumento dell’età pensionabile, che sollevano perplessità.

In termini macroeconomici, come ricordato da Confesercenti, l’impatto sul consumo potrebbe essere limitato se la pressione fiscale complessiva scende solo marginalmente.

La mia opinione

Credo che la Manovra 2026 rappresenti un passo nella direzione giusta, soprattutto per dare priorità al reddito da lavoro e alla competitività salariale. Il taglio dell’IRPEF e la detassazione degli aumenti contrattuali possono contribuire a migliorare il potere d’acquisto e a dare un segnale positivo al mercato del lavoro. Tuttavia, l’efficacia dipenderà molto da due elementi. La durata dell’intervento: se i benefici rimangono limitati a un anno o non diventano permanenti, l’effetto sulla fiducia e sul consumo sarà debole. L’ampiezza della platea: il fatto che redditi sopra i 200.000 euro siano esclusi dal beneficio e che per chi guadagna meno l’impatto sia piccolo rischia di generare percezione di progressività debole o di iniquità.

In conclusione, se l’intervento sarà accompagnato da politiche strutturali per la crescita dei salari, l’innalzamento della produttività e la riduzione del cuneo fiscale, allora potrà generare un effetto positivo duraturo. Altrimenti rischia di restare una manovra “tampone” anziché un cambiamento sistemico.