Simon Jäger – FVS – Oro a $4.000: la corsa record del metallo giallo eclissa Bitcoin e spaventa i Treasuries

Simon Jäger, Portfolio Manager Flossbach von Storch SE. -

Il prezzo di un’oncia di oro ha superato per la prima volta la soglia dei 4.000 dollari US. Da gennaio a ottobre il prezzo è salito di oltre il 53% (dato al: 07/10/2025), il balzo più forte dal 1979, superando perfino il Bitcoin: la cui quotazione della criprovaluta, infatti, è aumentata del 30%. L’ascesa è notevole anche nel lungo termine, considerando che l’oncia troy ha superato i 1.000 dollari nel 2009, i 2.000 nel 2023 e i 3.000 solo a marzo 2025. Pochi mesi dopo la quotazione è già a 4.000 dollari. Poiché il prezzo dell’oro è definito in dollari US, l’aumento in euro – pari a 37% – è stato leggermente meno rapido, ma comunque notevole. È quindi il momento di effettuare prese di profitto? A nostro avviso no, l’oro è una posizione strategica, gli investitori dovrebbero destinare all’oro solo il 10-20% del portafoglio. Inoltre, abbiamo poca fiducia nelle previsioni di brevissimo periodo.

L’oro come nuova valuta di riserva mondiale

Per secoli gli Stati hanno ancorato le proprie valute all’oro, poiché non può essere creato a piacimento. Con le due guerre mondiali l’indebitamento pubblico è aumentato drasticamente in molti paesi e il gold standard è stato in gran parte abbandonato. Negli ultimi anni, per via dei persistenti conflitti geopolitici, soprattutto le banche centrali di Cina e Russia hanno aumentato in misura massiccia le riserve auree. Un trend che riteniamo proseguirà alla luce delle continue turbolenze geopolitiche. Così, quest’anno l’oro ha soppiantato il dollaro US (ovvero i Treasuries) come principale asset nelle riserve valutarie delle banche centrali a livello globale.

Le crisi del debito stanno cambiando il mercato obbligazionario

Per molto tempo i titoli di Stato a lunga scadenza dei paesi occidentali sono stati considerati un investimento estremamente sicuro anche per i privati. Oggi, però, le crisi del debito (pubblico) alimentano lo scetticismo degli investitori – e non solo negli Stati Uniti, dove anche l’ultimo braccio di ferro sul budget ha probabilmente contribuito a spingere in alto il prezzo dell’oro. Dopo i recenti aumenti dei rendimenti, i decennali USA e britannici offrono ormai il 4-5%, rendendo più oneroso il servizio del debito.

La situazione nell’Europa continentale non è molto diversa. L’elevato debito pubblico e l’incertezza politica in Francia frenano gli acquisti di titoli transalpini. Di conseguenza, i rendimenti dei bond francesi già in circolazione sono saliti sensibilmente, superando persino quelli dell’ex fanalino di coda dell’Eurozona, ovvero l’Italia. Difficile intravedere un miglioramento nelle grandi economie: nei prossimi dieci anni il debito dei paesi G7 dovrebbe aumentare ulteriormente. Inoltre, in molti luoghi appare evidente che la crescita sia stata sostenuta anche da politiche monetarie espansive. Se le banche centrali adotteranno un tono più restrittivo, la dinamica congiunturale potrebbe indebolirsi. È inoltre chiaro che in alcuni paesi il “punto di non ritorno” dell’indebitamento sembra superato.

Per il mercato obbligazionario questo equivale a un cambio di paradigma caratterizzato dalla riduzione dello spread tra i titoli di Stato e le obbligazioni societarie investment grade. Nonostante la solidità dei bilanci di molte grandi aziende, l’assenza di un differenziale di rendimento adeguato rende le obbligazioni societarie meno attraenti per gli investitori, che di conseguenza si stanno orientando verso asset alternativi, tra cui l’oro.

Le banche centrali hanno margini di manovra limitati

Le banche centrali oscillano tra l’esigenza di allentare la politica monetaria e quella di combattere l’inflazione. La Fed ha un doppio mandato: contrastare la perdita di potere d’acquisto e sostenere il mercato del lavoro. Di conseguenza, appena i dati occupazionali peggiorano, aumenta la pressione per allentare. Nell’Eurozona, la BCE è ufficialmente tenuta soltanto a preservare la stabilità dei prezzi, ma di fatto si è impegnata a evitare una nuova crisi dell’euro. In entrambe le aree economiche questi vincoli tendono a indebolire il valore della moneta; sempre più risparmiatori, al di fuori delle banche centrali, cercano quindi una “moneta dura” come l’oro. Questo crea potenziale, anche perché – nonostante l’attuale euforia sull’oro – gli investitori privati, nel confronto storico, hanno ancora una quota relativamente modesta investita nel metallo prezioso.

Le incertezze geopolitiche favoriscono il prezzo dell’oro

Le crescenti incertezze globali, alimentate dai conflitti in Medio Oriente e in Europa, dalle frizioni geopolitiche e dall’imprevedibilità della politica dei dazi di Trump stanno contribuendo a frenare la propensione a investire. Storicamente, il prezzo dell’oro tende a salire nei periodi di crisi, e l’incremento attuale è paragonabile solo a quello eccezionale registrato nel 1979 — durante la seconda crisi petrolifera e la rivoluzione iraniana — quando il prezzo raddoppiò, passando da $225 a $512.

Gli investitori cinesi scoprono l’oro

Da decenni la maggior parte dell’oro da gioielleria viene venduto in India e in Cina. Alla luce della crisi immobiliare e della fase ribassista dei mercati domestici negli ultimi anni, sempre più cinesi stanno scoprendo l’oro anche come investimento. Sull’onda del forte rialzo del prezzo, le società minerarie locali stanno raccogliendo capitali in misura crescente. La capitalizzazione di mercato di Zijin Mining, il maggiore produttore aurifero cinese, è salita quest’anno a oltre 100 miliardi di dollari equivalenti. Non è partito quindi solo un hype globale sull’oro, ma anche sulle azioni aurifere.

In definitiva, esistono diversi motivi per aspettarsi ulteriori rialzi del metallo prezioso. In Germania – e non solo – i prezzi degli asset crescono da molti anni più dei prezzi al consumo: di conseguenza, il valore di molti immobili, partecipazioni e dell’oro è aumentato sensibilmente. Vale quindi la pena investire in beni reali. E l’oro è uno di questi.