“Viaggio nel tempo ” – weekly comment Matteo Ramenghi:
Le sanzioni contro la Russia e i dazi statunitensi stanno ridisegnando le rotte commerciali, creando blocchi alternativi: le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite di oltre il 30% negli ultimi mesi, quelle di gas russo verso l’Europa sono crollate del 60%, mentre il volume degli scambi tra Russia e Cina è aumentato del 30%.
Le tensioni geopolitiche muovono ingenti risorse: nel 2024 il budget militare globale è cresciuto del 7%, raggiungendo i 2200 miliardi di dollari, la Russia ha destinato oltre il 6% del PIL alla difesa, il valore più alto dal crollo dell’URSS, e la Polonia ha recentemente annunciato la più grande commessa militare europea degli ultimi trent’anni (48 sistemi missilistici Patriot per 15 miliardi di dollari). Come spesso accade, però, le borse guardano avanti e danno maggior peso all’innovazione tecnologica che ai rischi geopolitici. Se il passato torna a farsi sentire sul fronte geopolitico, la tecnologia ci proietta rapidamente nel futuro.
NVIDIA, leader mondiale nei chip per l’intelligenza artificiale, ha raggiunto una capitalizzazione di oltre 4000 miliardi di dollari, più del doppio del valore cumulato di ExxonMobil, Johnson & Johnson, JP Morgan e Procter & Gamble. Tutto lascia pensare che l’intelligenza artificiale rappresenti una rivoluzione almeno pari a quella di Internet, e i guadagni di produttività ed efficienza potrebbero tradursi in maggiori utili per le società quotate. Le elevate valutazioni raggiunte dal settore e la concentrazione di tanti investitori su pochi titoli (i cosiddetti «Magnifici 7» rappresentano oltre un terzo dell’indice americano) impongono di monitorare attentamente i rischi, che non mancano.
Dall’inizio dell’anno, gli investimenti in intelligenza artificiale hanno superato i 250 miliardi di dollari (+40% rispetto al 2024), ma i benefici immediati sui ricavi sono ancora limitati, anche se si intravedono segnali positivi. Questi investimenti dovranno essere ammortizzati e potrebbero pesare sui conti economici, generando volatilità su titoli che hanno già corso molto. Inoltre, sono emersi dubbi sulla circolarità di alcuni investimenti, come l’accordo tra OpenAI e NVIDIA, con la tendenza ad acquisire partecipazioni reciproche incrociate con accordi di fornitura. La solidità finanziaria delle principali aziende coinvolte nell’intelligenza artificiale non è in discussione, una differenza cruciale rispetto alla bolla delle dotcom di inizio millennio.
Alla fine degli anni ’90, i leader di Internet trattavano a rapporti prezzo/utili attesi intorno a 60, mentre i giganti attuali si collocano intorno a 35x, con bilanci più solidi e flussi di cassa più prevedibili. Sullo sfondo, la gestione dei debiti pubblici resta un tema irrisolto per gran parte del mondo avanzato: negli Stati Uniti il debito è al 124% del PIL e il deficit atteso al 7%; in Giappone l’indebitamento ha superato il 230% del PIL, con un cambio di governo in corso e possibili politiche fiscali più espansive.
La stessa tendenza si osserva in Europa, come dimostra l’instabilità politica in Francia, alle prese con un deficit del 5%. Non si può quindi escludere che nei prossimi anni si apra un nuovo periodo di repressione finanziaria, ovvero l’abbattimento dei rendimenti dei titoli di Stato da parte delle banche centrali per facilitare la gestione dei debiti pubblici. In fondo, nel suo attacco alla Federal Reserve, Trump sembra puntare a questo, con probabili riflessi in termini di ulteriore indebolimento del dollaro., i beni reali (azioni, oro, immobili) offrono una certa protezione in questo contesto.
Come orientarsi quindi? A mio avviso, oggi occorre adottare un approccio ambivalente: da un lato, mantenere liquidità per coprire le esigenze dei prossimi anni, sfruttando i rendimenti superiori all’inflazione attesa offerti dalle obbligazioni investment grade. Una liquidità adeguata evita di dover smobilizzare posizioni azionarie nel momento sbagliato in caso di volatilità. Dall’altro, superando il senso di vertigine per le valutazioni, restare investiti sul mercato azionario.
Infatti, uscire troppo presto solo per via di valutazioni elevate spesso si è rivelato penalizzante: ad esempio, nel 1995 le valutazioni erano già alte, ma da lì a marzo 2000 il Nasdaq è aumentato di cinque volte. A livello geografico, oltre agli Stati Uniti, il Giappone potrebbe sorprendere positivamente grazie a una politica fiscale espansiva del nuovo governo e a una politica monetaria più accomodante. In un contesto di tassi americani in discesa, siamo più ottimisti per quanto riguarda i mercati emergenti e, in particolare, la Cina, dove le azioni sono all’incirca del 30% inferiori ai massimi del 2021 e le valutazioni sono in linea con la media decennale.

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