La Fed si prepara al taglio dei tassi? Tra dichiarazioni “dovish”, ambizioni politiche e dati sul lavoro che non convincono

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Le dichiarazioni di John Williams presidente della Federal Reserve Bank of New York, Stephen Miran, economista americano con un profilo fortemente legato alla politica fiscale e monetaria, considerato una delle voci più vicine all’area repubblicana nel dibattito economico USA e Chris Waller, spesso citato dai principali quotidiani finanziari americani, riaccendono il dibattito su un possibile taglio dei tassi. Ma gli analisti, come riportano Wall Street Journal, Bloomberg e Financial Times, invitano alla cautela: le dinamiche politiche interne alla banca centrale USA potrebbero pesare più del previsto.

Il coro di voci favorevoli a un taglio dei tassi d’interesse negli Stati Uniti si è fatto più vistoso. Come osserva The Wall Street Journal, la sintonia improvvisa fra i tre economisti «ha alimentato speculazioni sul fatto che la Fed possa preparare il terreno per un cambio di rotta prima della fine dell’anno».

Eppure, nonostante il fronte “dovish” sembri rafforzarsi, gli analisti invitano alla prudenza. Bloomberg sottolinea che «una parte crescente del mercato teme che alcune di queste dichiarazioni siano motivate anche da calcoli politici», in un contesto in cui il presidente Donald Trump tornerà a nominare il prossimo presidente della Fed. Secondo l’agenzia americana, i membri del FOMC potrebbero essere tentati di “alzare la voce” per attirare l’attenzione della Casa Bianca: un rischio che diversi osservatori non esitano a definire “una distorsione potenzialmente seria dell’indipendenza della Federal Reserve”.

Il Financial Times, nella sua edizione USA, aggiunge un ulteriore livello di cautela: «In un anno in cui le nomine al board saranno sotto i riflettori, distinguere tra un vero orientamento proattivo e un posizionamento politico diventerà cruciale». Non è un caso che diversi economisti parlino di “rumore di fondo” piuttosto che di un’indicazione chiara sulla prossima mossa della banca centrale.

Dati macroeconomici: un quadro che non aiuta

Il recente payrolls report, il primo dopo la fine dello shutdown del governo federale, non porta chiarezza. Anzi, come osserva CNBC, i numeri “rendono più difficile interpretare il reale stato dell’economia americana”. A settembre sono stati aggiunti appena 119.000 posti di lavoro, ben al di sotto delle aspettative degli economisti, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto vicino al 4,4%.

Jerome Powell ha definito l’attuale fase come un ambiente «low hire, low fire»: poche assunzioni, poche cessazioni. Una fotografia di un mercato del lavoro che non crolla, ma che nemmeno mostra la vivacità necessaria per rassicurare la Fed sull’atterraggio morbido dell’economia.

Come riporta The New York Times, «il report solleva più domande che risposte», in particolare sul ritmo della crescita salariale, che rimane modesto e non sufficiente a generare pressioni inflazionistiche durature.

Pressioni politiche e rischio per l’indipendenza della Fed

L’ombra della politica è sempre più ingombrante. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca riapre un capitolo complesso: la tensione tra l’esecutivo e la Fed. Durante il suo precedente mandato, Trump criticò duramente Powell per non aver tagliato i tassi abbastanza rapidamente.

Oggi, con un nuovo presidente della banca centrale da nominare, l’attenzione è massima. Bloomberg Opinion avverte che «qualunque commento dei membri della Fed rischia di essere letto attraverso una lente politica, rendendo difficile distinguere analisi genuine da tentativi di compiacere l’amministrazione».

Stephen Miran, considerato vicino a posizioni repubblicane, è tra i nomi più citati per un possibile ruolo di vertice. Chris Waller, pur essendo un “falco” durante la fase di alta inflazione, negli ultimi mesi ha adottato toni più accomodanti. Williams, dal canto suo, ha parlato di “apertura” a un taglio se le condizioni economiche dovessero deteriorarsi.