Il recupero di mercato, la transizione del tech e il consensus sulla Fed (Crédit Mutuel AM)
Dopo un periodo di nervosismo caratterizzato da una lieve correzione dei mercati azionari, la tendenza al rialzo è ripresa e ora sono vicini ai massimi dell’anno. L’incertezza che ha riguardato lo ‘shutdown’ è parzialmente alle spalle e i timori legati all’AI, sebbene ancora presenti, non hanno impedito il recupero del mercato.
Sottolineiamo in particolare quest’ultimo punto, dato che da inizio anno è stato piuttosto raro: l’S&P 500 ha chiuso il mese di novembre in rialzo dello 0,13% mentre il settore tecnologico nel suo complesso era in calo del 4,36%. Nvidia, la società che ha incarnato la sovraperformance del tech americano negli ultimi 3 anni, ha chiuso in calo del 12,59%, mentre Google era in crescita di oltre il 13%. Dopo un periodo di crescita continua per la gran parte delle aziende che compongono il settore, potremmo essere alla soglia di un’era di una differenziazione più pronunciata all’interno del settore tecnologico stesso.
Storicamente, le aziende che si sono imposte in fasi di innovazione tecnologica non erano necessariamente le prime ad arrivare sul mercato. Esiste una competizione interna agli Stati Uniti ma anche dall’estero, in particolare dalla Cina, con DeepSeek che sta avendo risultati comparabili alle società migliori ma a un costo significativamente inferiore. Anche l’Europa è della partita, grazie agli annunci di Mistral e al rilascio dei suoi modelli Mistral 3. La competizione si estende al di là del software all’hardware e Amazon, Meta e Google stanno sviluppando chip che possano eguagliare quelli di Nvidia.
Il recupero è stato sostenuto anche dai segnali accomodanti provenienti dalla Federal Reserve. Le dichiarazioni di Williams e Daly a seguito della pubblicazione dei dati sul tasso di disoccupazione (sopra le attese dello 0,1%) hanno aumentato notevolmente la probabilità di un taglio dei tassi di interesse a dicembre da parte della Fed che, come spesso succede, è stato preso positivamente. Al di là della decisione finale di una riduzione dei tassi, sarà interessante analizzare i dissapori all’interno del comitato prima dell’annuncio del nuovo Presidente Fed.
Attualmente il favorito per la carica sembra essere Kevin Hassett. Fedele a Trump, tra i primi sostenitori di una riduzione più rapida dei tassi e credibile agli occhi dei mercati grazie alla sua esperienza repubblicana (Bush, McCain) e con un dottorato in economia, soddisfa tutte le caratteristiche ricercate da Trump. Sebbene il Presidente della Fed rappresenti in ultima istanza solo un voto, questa eventuale nomina ha contribuito anche al calo dei rendimenti dei titoli di Stato statunitensi.
Sul fronte economico, ci sono state poche novità provenienti dall’Atlantico in questo periodo post shutdown. I pochi dati pubblicati (fiducia delle imprese sul settore manifatturiero e non, consumi) restano coerenti con uno scenario di forte crescita nel corso dei prossimi mesi.
Nell’Eurozona il trend rimane positivo, con una crescita ancora una volta rivista leggermente al rialzo per quest’anno. Permangono le sfide (consumi fiacchi, deboli aumenti di produttività, problemi di competitività, euro forte) ma gli indicatori anticipatori segnalano in gran parte un miglioramento graduale e continuo.
In Francia permane l’instabilità politica, tuttavia, il quadro economico non è così negativo, con deficit inferiori al previsto in ottobre e l’indice dei responsabili degli acquisti per la prima volta sopra quota 50 da agosto 2024. Nel complesso, la situazione sta evolvendo in una direzione positiva e ci troviamo ancora in un periodo favorevole per gli asset rischiosi. Abbiamo approfittato della correzione di novembre per aumentare la nostra esposizione in primo luogo all’azionario USA ma anche a quello europeo. Il posizionamento degli investitori non sembra essere eccessivo, le banche centrali possono ridurre i tassi se necessario e non prevediamo nessun rischio macroeconomico imminente.
A proposito delle banche centrali, ci sembra che i mercati prezzino uno scenario troppo restrittivo sulla Bce: non sono previsti ulteriori tagli dei tassi, nonostante gli effetti di base spingeranno l’inflazione verso il basso nel 2026, il che dovrebbe aprire la porta a ulteriori tagli dei tassi della Bce. Le posizioni lunghe sulle obbligazioni dell’Eurozona a breve e media scadenza ci sembrano caratterizzate da un profilo rischio/rendimento favorevole. Sul credito, il contesto resta invariato: spread compressi ma rendimenti complessivi interessanti continuano ad attirare una forte domanda, con i titoli corporate in ottima salute finanziaria.
Il contesto complessivo di mercato sembra ancora favorevole: una crescita solida, una Fed accomodante e in generale politiche fiscali espansive. Indubbiamente il rischio per il 2026 è la possibilità che negli USA le parti a lungo termine della curva dei rendimenti comincino a rialzarsi di nuovo ma siamo ancora lontani da livelli eventualmente pericolosi (4,8-5% sui Treasury a 10 anni).

LMF green
Mente e denaro
Sala Stampa