Londra, Westminster Central Hall. Gli scienziati chiedono un reset urgente del dibattito climatico
Durante il National Emergency Briefing della scorsa settimana, una frase ha dominato il dibattito pubblico: «There will be no real economy left to talk about». Non si tratta di un’esagerazione retorica, ma della sintesi più diretta di ciò che un gruppo interdisciplinare di scienziati, climatologi, economisti, esperti di infrastrutture e rischio sistemico ha definito “la realtà scomoda che continuiamo a ignorare”.

Secondo gli esperti, stiamo entrando in una fase di emergenza strutturale, in cui gli impatti climatici non sono più proiezioni future, ma costi già visibili che stanno erodendo la capacità stessa dell’economia di funzionare: produttività in calo, infrastrutture fragili, aumento dei prezzi alimentari, rischi assicurativi crescenti, tensioni sociali.
Il punto, secondo gli scienziati, non è più “come ridurre le emissioni”, ma come ripensare d’urgenza il modo in cui parliamo di clima. La narrazione attuale è giudicata troppo lenta, frammentata e spesso distorta.
Un briefing che denuncia il problema centrale: la disinformazione
Il messaggio più ripetuto dagli esperti è stato chiaro: non esiste un piano politico credibile finché il dibattito pubblico rimane contaminato da misinformation e distraction strategies.
Gli studiosi parlano di tre livelli di distorsione. Disinformazione esplicita, fake news e narrazioni false che minimizzano l’impatto climatico o negano il ruolo dell’attività umana. Underplaying dei rischia, la tendenza dei media generalisti a trattare eventi estremi, incendi, alluvioni, blackout energetici come episodi isolati, ignorando la relazione sistemica con il cambiamento climatico. Fatalismo passivo. La diffusa convinzione che “ormai sia troppo tardi”, che genera immobilismo politico e sociale.
Come hanno ricordato più ricercatori al briefing: “Il fatalismo è un alleato della crisi, non una risposta alla crisi”.
Il punto più provocatorio “non ci sarà più un’economia di cui parlare” non è una metafora. Secondo gli economisti presenti:
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i danni meteorologici estremi stanno crescendo con tassi superiori al PIL,
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il settore assicurativo non riesce più a coprire alcune aree del Paese,
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i costi agricoli sono in aumento per via di siccità e instabilità stagionali,
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la produttività del lavoro cala nelle aree più calde,
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infrastrutture critiche (porti, reti elettriche, trasporti) non sono costruite per resistere alle nuove condizioni.
Questo significa che l’impatto del clima non sarà un problema dei “prossimi decenni”, ma un rischio macroeconomico immediato, con implicazioni per il debito pubblico, gli investimenti e la continuità delle imprese.
Un “reset” del dibattito climatico
Gli scienziati richiedono un reset per tre motivi principali: La politica non segue il ritmo della scienza Lo scarto tra ciò che sappiamo e ciò che facciamo continua ad ampliarsi. La scienza aggiorna, la politica rimanda. Il pubblico riceve informazioni confuse La disinformazione spesso amplificata sui social rende più difficile il consenso sulle misure urgenti. Senza una narrativa unificata, non si costruisce un mandato democratico.
Gli esperti sottolineano che il cambiamento necessario non è solo tecnologico, ma comunicativo: “Non possiamo affrontare un rischio sistemico con strategie di comunicazione episodiche”.
Non si tratta più di “salvare il pianeta”, dicono gli scienziati. Si tratta di salvare l’economia, il lavoro, la sicurezza, le infrastrutture, la vita quotidiana. Il reset della conversazione climatica è, per loro, il primo passo per evitare che quella frase “non ci sarà più un’economia di cui parlare” diventi realtà.

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