Tra utili e inflazione: scenari per azioni e obbligazioni

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Oggi, la maggior parte degli indicatori basati sui prezzi segnala che il mercato azionario USA si trova vicino ai massimi storici: il rapporto prezzo/valore contabile (price-to-book) dell’S&P 500 supera quota 5, simile ai livelli della bolla dot-com del 2000. Tuttavia, per ora gli investitori sembrano fiduciosi che le aziende USA continueranno a crescere, sostenendo rendimenti a doppia cifra. I titoli growth continuano a sovraperformare quelli value.

Rischi d’inflazione

Guardando al contesto macroeconomico generale, le pressioni del governo statunitense sulla Fed sono viste come un fattore che alimenta il premio per il rischio d’inflazione. Come osservato di recente, gli spread dell’inflazione break-even sono in rialzo. I dazi hanno un impatto, ma ancora più insidiosa sarebbe un’influenza politica permanente sul modello operativo della Fed e sulla credibilità del suo obiettivo d’inflazione. Il mercato azionario potrebbe leggere come positivo uno scenario di inflazione più alta, sostenuto da un dominio fiscale e da tassi d’interesse inferiori rispetto a quelli impliciti in un approccio di politica monetaria basato su regole. L’andamento dell’inflazione è cruciale per ricavi e utili per azione: una crescita nominale del PIL più elevata (grazie a un’inflazione maggiore) e tassi più bassi dovrebbero favorire le azioni. Restano però incognite i rendimenti obbligazionari di lungo termine e l’andamento del dollaro. Ci sarà comunque un punto di svolta in cui un’inflazione più alta ridurrà i multipli P/E. Storicamente, i multipli più elevati delle azioni statunitensi si sono registrati con un’inflazione CPI tra 0% e 2%, mentre i più bassi con inflazione oltre l’8%.

Nessuna garanzia di correzione

Non possiamo sapere quale sarà l’inflazione media nei prossimi cinque anni, né cosa accadrà agli utili. L’AI potrebbe sostenere a lungo la crescita, come sostengono i fautori del mercato rialzista. Tuttavia, se l’inflazione sarà più elevata, anche i tassi saranno più alti e i multipli azionari più bassi (come avvenuto nel 2022). Il punto chiave è che le azioni USA trattano su multipli storicamente elevati, dopo cinque anni di forte crescita degli utili e inflazione sopra il target della Fed. E la storia suggerisce che a questi livelli è difficile mantenere rendimenti totali simili nel medio periodo.

Allocazioni globali

Un’inflazione moderatamente più alta negli Stati Uniti, combinata con una crescita reale degli utili trainata dalla tecnologia, non rappresenta un problema per gli investitori. I rendimenti azionari dovrebbero superare quelli obbligazionari e di altri mercati. È difficile prevedere un calo marcato dei multipli, a meno di una recessione, uno shock fiscale o maggiore incertezza politica. Tuttavia, ci sono buone ragioni per diversificare verso mercati dove le valutazioni sono più basse e l’outlook inflazionistico più stabile – ideale per generare reddito da dividendo. Ancora una volta, un argomento a favore di maggiore esposizione a Europa e Asia, e minore agli USA, per investitori con un orizzonte di lungo periodo.

Credito

Tutto questo è rilevante anche per il credito. Esiste una stretta relazione tra spread creditizi e earnings yield (reciproco del P/E). Un P/E più basso – quindi un earnings yield più alto – ha una correlazione positiva con spread più ampi. È facile parlare da ribassisti, ma quale potrebbe essere il catalizzatore? La lista è lunga: rallentamento per via dei dazi, crisi obbligazionaria, problemi nel private credit, crollo di fiducia nelle istituzioni USA, debolezza del dollaro. Ma nulla di tutto ciò è nuovo, e non c’è modo di sapere se e quando ciò scatenerà un panic selling. Il sentiment resta troppo forte per ora.

Obbligazioni: tutto ok

C’è un certo pessimismo che circonda i titoli di Stato, ma questo non si è ancora esteso né al mercato azionario né, in effetti, ai settori del credito. La rinnovata incertezza politica in Francia – legata a problematiche fiscali – ha spinto al rialzo i rendimenti dei titoli di Stato francesi. Il mercato britannico resta sotto pressione, in attesa di maggiore chiarezza su come il governo intenda migliorare l’outlook fiscale. Ma continuo a sostenere che non esiste una crisi obbligazionaria. L’inclinazione più marcata delle curve dei rendimenti riflette una crescita nominale del PIL più forte del previsto, unita all’ipotesi che le banche centrali di Stati Uniti e Regno Unito ridurranno ulteriormente i tassi d’interesse. I premi per il rischio sono aumentati, ma i rendimenti a lungo termine non si discostano molto da quanto suggerito dalle tendenze di medio periodo della crescita nominale del PIL. È ovvio che il mercato azionario ha garantito rendimenti totali più elevati, seppur con molta volatilità, ma un investimento passivo in indici obbligazionari governativi ponderati per capitalizzazione avrebbe comunque generato un rendimento totale del 4,6% negli Stati Uniti, dell’1,2% nel Regno Unito e sarebbe rimasto stabile in Europa (ma con un +2% in Italia). Stay calm, e incassate la cedola.