Le diverse facce dell’oro
La scorsa settimana il prezzo dell’oro ha superato quota 4000 dollari l’oncia, con un rialzo di oltre il 50% da inizio anno. La quotazione è più che raddoppiata in meno di tre anni. Questa performance è il risultato di una sorta di «congiunzione astrale» di molteplici fattori, ma prima di addentrarmi nelle dinamiche più recenti vorrei fare un passo indietro.
Esistono infatti visioni molto diverse sull’oro, che nella storia umana ha sempre rappresentato una riserva di ricchezza, con grandi movimenti di persone per accaparrarselo.
Per alcuni, però, il metallo giallo è solo un bene infruttifero, posizione riassunta da una celebre frase di Warren Buffett: «L’oro viene estratto dalla terra in Africa, o in qualche altro posto. Poi lo fondiamo, scaviamo di nuovo, lo seppelliamo in un caveau e paghiamo persone per stare a guardarlo. Non ha utilità. Chiunque osservasse da Marte penserebbe che siamo pazzi».
In realtà, gran parte dell’oro viene utilizzata e non immobilizzata in riserve finanziarie. Si stima che solo il 31% della produzione annuale sia destinata agli investimenti, il 12% all’industria e il 57% alla gioielleria. Gli utilizzi nella tecnologia spaziano dall’elettronica, per la sua conduttività elettrica e resistenza, all’aerospaziale, per la capacità di riflettere le radiazioni solari.
L’oro è facilmente liquidabile, mantiene il suo valore nel tempo e non presenta rischio di default non dipendendo da alcun emittente. La sua natura di bene rifugio lo rende reattivo soprattutto alla paura e all’inflazione. Quando aumentano le tensioni geopolitiche e l’incertezza economica, crescono le quotazioni aurifere.
Anche in periodi recenti, ogni volta che si sono verificati eventi geopolitici rilevanti (come attacchi a infrastrutture energetiche o minacce di escalation nucleare), il prezzo del metallo giallo ha registrato rialzi immediati, con elevati volumi di scambio.
Se l’inflazione sale, l’oro rappresenta un’ancora per gli investitori, anche se nel medio termine non è necessariamente la migliore copertura. Inoltre, il prezzo dell’oro è inversamente correlato al valore del dollaro, essendo scambiato in quella valuta. La sua natura di bene infruttifero fa sì che possa essere assimilato a un’obbligazione a lunghissima durata e, come tale, risulta sensibile ai tassi d’interesse americani.
Dall’inizio dell’anno, la debolezza del dollaro, le aspettative di discesa dei tassi, la forte incertezza sull’agenda politica statunitense e i conflitti hanno contribuito a far salire le quotazioni aurifere. La domanda rimane robusta e le posizioni in exchange-traded fund (ETF) da inizio anno si avvicinano ai massimi storici.
Anche la domanda al dettaglio è stata sostenuta: la Perth Mint, la zecca ufficiale dello Stato dell’Australia Occidentale e una delle più importanti raffinerie di metalli preziosi al mondo, ha registrato un aumento delle vendite di oro a settembre del 21% su base mensile.
Nelle ultime settimane sono emerse però alcune differenze geografiche: mentre in Europa e negli Stati Uniti gli ETF sull’oro hanno visto di recente alcuni deflussi, in Asia (soprattutto Cina e India) la domanda retail di gioielli e lingotti è rimasta robusta, con code nei negozi di Hong Kong e Shanghai nei giorni di maggiore volatilità.
Tutti questi elementi non spiegano completamente la performance a medio termine dell’oro. Si è infatti aggiunto un fattore relativamente nuovo: i principali acquirenti sono state le banche centrali, in particolare quelle dei Paesi emergenti, che a partire dal 2022 ne stanno acquistando oltre 950 tonnellate l’anno, il doppio del tasso medio del decennio precedente, spesso diversificando rispetto al dollaro.
In particolare, Cina e Russia sono state tra i maggiori acquirenti. La Cina ha acquistato circa 316 tonnellate di oro dal 2022 al 2024, mentre la Russia ha accumulato quasi 1700 tonnellate dal 2010. Anche la Reserve Bank of India e la banca centrale della Turchia hanno incrementato gli acquisti, contribuendo a sostenere il prezzo.
A breve termine questi trend dovrebbero continuare, ma non bisogna dimenticare che questo metallo è periodicamente soggetto a brusche correzioni. Ad esempio, tra il 2011 e il 2013 le quotazioni erano scese del 35% dopo la fine delle politiche monetarie espansive seguite alla crisi finanziaria globale del 2008. Proprio durante quella crisi scivolò del 25% tra marzo e ottobre, perché era uno dei pochi asset vendibili in mano agli hedge fund. Se andiamo più indietro nel tempo, tra il 1980 e il 1982 l’oro subì una correzione del 60% a causa del rialzo dei tassi avviato dalla Federal Reserve.
In sintesi, l’oro è il bene rifugio più evocativo e ha caratteristiche che lo rendono effettivamente unico; tuttavia, è infruttifero ed è soggetto a correzioni brusche. Nel breve termine, i flussi che lo stanno sostenendo sembrano poter continuare e, nel complesso, nonostante i forti rialzi, confermiamo un orientamento positivo sul metallo giallo. Sebbene il mercato mostri flussi in acquisto che potremmo definire euforici, l’oro resta uno strumento di copertura e può costituire una quota di qualche punto percentuale all’interno di un portafoglio diversificato.

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