Schroders: Il boom silenzioso dei titoli auriferi
Nel secondo trimestre del 2024 abbiamo sostenuto che, nonostante le prospettive secolari rialziste per l’oro, le valutazioni delle azioni aurifere fossero vicine ai minimi degli ultimi 40 anni e che il settore avrebbe potuto “registrare un rialzo del 50% e continuare a sembrare poco costoso”.
Ultimamente l’interesse è in aumento e i titoli auriferi stanno vivendo un boom silenzioso. Diciamo silenzioso perché non vediamo molto entusiasmo né da parte degli investitori né da parte dei produttori stessi. Il recente interesse non può nascondere il fatto che i fondi auriferi1 hanno registrato deflussi netti per circa 5 miliardi di dollari USA negli ultimi 18 mesi (non quello che ci aspettavamo).
Esaminando i dati, non possiamo fare a meno di pensare che lo scorso anno siamo stati troppo cauti nelle nostre valutazioni. Nonostante un rialzo sostanziale superiore al 50% quest’anno, le azioni aurifere sembrano ancora poco costose da almeno tre punti di vista.
1. La performance delle azioni aurifere rimane fortemente disallineata ai margini di flusso di cassa record (che continuano ad aumentare)
Come suggerisce la logica, le azioni aurifere di solito sovraperformano l’oro nei periodi in cui i margini dei flussi di cassa sono in espansione e sottoperformano quando i margini sono in contrazione. Ciò è stato molto evidente nel periodo dal 2018 alla metà del 2023.
Dalla fine del 2023 i margini di flusso di cassa dei produttori si sono espansi a livelli senza precedenti, con l’accelerazione del mercato rialzista dell’oro. Il motivo di questa esplosione dei margini è semplice. L’oro viene sempre più valutato come un puro bene monetario, o “moneta non debitoria” per citare Ray Dalio, per ottime ragioni secolari di lungo periodo. Nel frattempo, l’inflazione dei costi dei produttori di oro – principalmente una combinazione di energia, materiali di consumo e manodopera – ha subito un forte rallentamento rispetto all’elevata inflazione registrata nel periodo 2021-2023.
La performance dei titoli auriferi non ha tenuto il passo con l’espansione dei margini di flusso di cassa

Fonte: Bloomberg, report aziendali, Schroders – agosto 2025.
Il margine di sovraperformance delle azioni aurifere rispetto all’oro fisico rimane sostanziale. Rispetto ai prezzi dell’oro fisico, le azioni aurifere dovrebbero sovraperformare di un ulteriore 30% per tornare ai livelli del 2020. Tuttavia, i margini sono oggi raddoppiati rispetto ad allora. Inoltre, i bilanci dei produttori sono molto più solidi e i rendimenti per gli azionisti tramite riacquisti e dividendi sono più elevati.
Se le azioni aurifere dovessero riflettere i margini attuali, dovrebbero razionalmente quasi raddoppiare rispetto al prezzo dell’oro, presupponendo che i prezzi dell’oro non aumentino ulteriormente.
Va sottolineato che i produttori stanno ora operando in modo molto più costante rispetto al periodo 2020-2023. In quel periodo gli operatori erano sotto pressione a causa dell’inflazione dei costi causata dai problemi alla catena di approvvigionamento post Covid, dalla mancanza di mobilità della manodopera e dalla crisi energetica del 2022.
Nel secondo trimestre di quest’anno i produttori hanno generato circa il 50% in più di flusso di cassa libero rispetto alle stime di consenso previste poco prima dell’inizio della stagione di rendicontazione. I recenti incontri con i produttori al Denver Gold Show hanno messo in evidenza che i team di gestione rimangono estremamente concreti e non sono disposti a perseguire la crescita o prezzi più elevati.
2. Valutazioni non eccessive e bilanci solidi
I margini sono molto elevati, ma gli investitori si chiedono giustamente se le valutazioni siano ancora ragionevoli, dato l’aumento in termini assoluti. A nostro avviso, lo sono. Nel nostro processo di investimento prendiamo in considerazione una serie di parametri di valutazione e di rendimento. Dal nostro punto di vista le valutazioni rimangono ragionevoli in tutti questi parametri, anche considerando un prezzo dell’oro significativamente inferiore ai prezzi spot, come previsto dal consenso.
3. Nessun segno di “mania” nel settore, anzi, piuttosto il contrario
Nel complesso, continuiamo a non ritenere che gli investitori occidentali siano grandi ‘sostenitori’ dell’oro. Siamo ben lontani dalla fase di “fede cieca” del ciclo e fatichiamo a individuare alcun segno di comportamento maniacale.
Infatti, fino a poco tempo fa, la reazione cumulativa degli investitori con posizioni in fondi passivi e attivi nel settore aurifero è stata quella di “vendere il rialzo”. La pressione di vendita ha raggiunto volumi record. Solo di recente l’interesse ha iniziato a crescere.
Perché? Come non ci stanchiamo mai di ripetere, ciò a cui abbiamo assistito nel settore dell’oro dalla fine del 2022 fino all’incirca al secondo trimestre di quest’anno è stato principalmente un mercato rialzista guidato dalle banche centrali orientali e, in misura minore, dalle famiglie e dagli investitori orientali. La marcata mancanza di partecipazione occidentale si è tradotta anche in un grave disinteresse per i titoli azionari dei metalli preziosi, da cui il disallineamento delle valutazioni e l’enorme opportunità.
Anche la storia gioca un ruolo importante. Molti investitori sono ancora segnati dalla sottoperformance dei titoli auriferi nel decennio tra il 2005 e il 2015. Questa ferita si estende anche ai team di management dei produttori di oro, motivo per cui chiunque si aspetti un rapido ritorno alla mentalità della “crescita a tutti i costi”, che alla fine ha portato a una grave distruzione di valore nel settore, rimarrà deluso.
Considerati i fattori fiscali e geopolitici che sono alla base di questo mercato rialzista, crediamo che esso possa concludersi senza una partecipazione occidentale molto più aggressiva? Ne dubitiamo fortemente. E questo, in definitiva, è il motivo per cui l’opportunità è ancora molto viva.
Le ragioni secolari a favore dell’oro
La transizione dell’oro da argomento di investimento “di nicchia” a vera e propria asset class è ancora relativamente immatura. All’inizio del 2024 abbiamo suggerito che fosse perfettamente plausibile che l’oro raggiungesse un massimo ciclico di 5.000 dollari USA per oncia alla fine di questo decennio. Il carburante che la Casa Bianca “MAGA” continua a versare sui temi del ciclo lungo ci fa pensare che il picco potrebbe essere molto più alto.
Come molti ci hanno fatto notare di recente, i prezzi dell’oro sono ora ai massimi storici sia in termini nominali che reali, al netto dell’inflazione. La narrazione di come si è arrivati a questo punto è molto familiare: l’aumento della domanda di oro da parte delle banche centrali dopo che il congelamento delle attività in valuta estera della Russia da parte del G7 nel 2022 ha portato l’uso del dollaro come arma a nuovi livelli, l’emergere della domanda delle famiglie cinesi con l’aggravarsi della crisi immobiliare onshore in Cina e, recentemente, la guerra commerciale della Casa Bianca e i crescenti attacchi all’indipendenza della Federal Reserve.
A nostro avviso, questi eventi, compresa la stessa Casa Bianca del presidente Trump, non sono casi isolati, ma sintomi di tendenze fiscali e geopolitiche secolari a lungo termine che non sembrano affatto vicine a una risoluzione. Questi trend possono essere sintetizzati nelle espressioni “fragilità fiscale” e “nuovo ordine geopolitico mondiale”.
La domanda monetaria di oro (un piccolo mercato da 400 miliardi di dollari) da parte di enormi pool di capitali è e continuerà ad essere stimolata dall’incertezza creata da queste tendenze. Questi pool di capitali includono le riserve delle banche centrali dei mercati emergenti, i depositi delle famiglie (in particolare in Cina e in Medio Oriente), i capitali di investimento istituzionali (endowment, fondi pensione, family office) e, sempre più, il “criptoverso”. Di questi, solo la domanda delle banche centrali ha registrato un vero e proprio boom, e anche in questo caso la domanda rimane elevata.
L’interesse degli investitori sta iniziando solo ora a crescere davvero. Secondo Bloomberg, le attuali partecipazioni in oro degli ETF sono pari a circa 95 milioni di once. L’investimento di 380 miliardi di dollari (al valore spot) necessario per portare tali partecipazioni a 200 milioni di once sembra elevato fino a quando non si confronta il mercato dell’oro con gli aggregati finanziari globali più ampi. Un’offerta globale simultanea richiederà prezzi molto più elevati e un’ulteriore significativa riduzione della domanda di gioielli per essere assorbita.

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