TwentyFour AM: i fattori che spingono al rialzo i rendimenti dei Treasury USA

George Curtis, Portfolio Manager di TwentyFour Asset Management, boutique di Vontobel -

I rendimenti dei Treasury USA hanno registrato una certa volatilità nel 2025, poiché i mercati hanno continuamente rivalutato le preoccupazioni relative a dazi, inflazione e crescita. Nonostante le oscillazioni dei prezzi, il trend che si è osservato è stato la costante re-inflazione del “premio a termine”, ovvero la compensazione extra richiesta dagli investitori per detenere obbligazioni a più lungo termine piuttosto che reinvestire continuamente in titoli con scadenze più brevi. Nel periodo di quantitative easing, le banche centrali hanno compresso il premio a termine acquistando asset a lungo termine, fornendo indicazioni prospettiche e ancorando in modo credibile le aspettative di inflazione. Oggi, con una serie di fattori che rendono più incerta la traiettoria dell’inflazione e dei tassi di interesse, gli investitori chiedono nuovamente una maggiore compensazione.

A nostro avviso, l’aumento del premio a termine non è dovuto solo a fattori di “flusso” quali l’elevata emissione di titoli del Tesoro USA o il quantitative tightening. Riteniamo piuttosto che sia determinato da tre forze macroeconomiche:

Dazi

L’attenzione del mercato sui dazi segnala giustamente un ostacolo alla crescita, ma l’effetto secondario è una più ampia distribuzione dell’inflazione. Nel breve termine, i dazi generano inflazione sui beni di base (l’entità è incerta, ma non trascurabile), mentre la crescita più debole riduce la domanda e l’occupazione. Il mercato non può sapere quale impatto dei dazi prevarrà. Questa combinazione comporta anche rischi di stagflazione, poiché la Fed è costretta a stabilire delle priorità nel suo doppio mandato di massima occupazione e prezzi stabili. Per il premio a termine, ciò che conta non è l’esatta aliquota tariffaria. Gli investitori vedono una serie di percorsi inflazionistici possibili e una reazione meno certa della Fed a qualunque percorso si concretizzi.

Immigrazione

Il processo di disinflazione negli Stati Uniti si è basato in larga misura sulla normalizzazione dell’offerta di manodopera. La partecipazione della popolazione in piena età lavorativa e l’immigrazione hanno contribuito a raffreddare la crescita salariale dopo la fase di forti assunzioni seguita alla pandemia, senza provocare un crollo della domanda. Una riduzione deliberata dell’immigrazione potrebbe potenzialmente invertire questo effetto. I salari sono una componente lenta dei servizi di base; se restano sugli stessi livelli per più tempo, lo stesso vale per l’inflazione sottostante. In definitiva, ci vorrà del tempo prima che l’impatto della politica sull’immigrazione sull’inflazione diventi noto. Non si tratta di un fattore determinante a breve termine per la politica monetaria, ma potrebbe spingere al rialzo la stima del tasso neutro da parte della Fed. Pertanto, è sui rendimenti a più lungo termine, piuttosto che sulla parte iniziale della curva dei titoli del Tesoro USA, che gli investitori richiedono una compensazione aggiuntiva.

Il conflitto tra crescita e inflazione della Fed

Infine, occorre considerare come l’attuale contesto macro stia modificando la comunicazione e le reazioni della Fed. Quando sia la crescita sia l’inflazione presentano rischi per l’economia, gli obiettivi del dual mandate – ovvero la stabilità dei prezzi e la piena occupazione – entrano in conflitto. Pur senza dichiarare esplicitamente di dare priorità all’uno o all’altro, la Fed ha lasciato intravedere il suo approccio nel recente cambio di tono, che riconosce la prevalenza dei rischi legati alla crescita. Segnalare tagli dei tassi anticipati e numerosi mentre diverse componenti dell’inflazione restano non del tutto sotto controllo esercita una pressione al ribasso sui rendimenti dei Treasury a breve e al rialzo su quelli a lungo termine. Non si tratta di un giudizio sull’opportunità di allentare, ma dell’osservazione che la tolleranza per l’inflazione appare più elevata quando i rischi per la crescita diventano più rilevanti.

Con l’inflazione “appiccicosa” sui servizi, soprattutto quelli legati agli alloggi, e sui beni alimentari il mercato considera imperfetta la disinflazione negli Stati Uniti. Anche se questi settori potrebbero seguire la tendenza generale al ribasso, sappiamo che i fattori sottostanti possono creare rischi al rialzo. I salari rimangono alti anche se ci sono evidenze che il mercato del lavoro stia rallentando. I dazi mettono pressione sui prezzi dei beni di base. Dato che la Fed sembra dare priorità ai rischi di crescita rispetto a una vittoria completa sull’inflazione, gli investitori con un orizzonte temporale lungo chiedono maggiori garanzie contro un aumento dell’inflazione tendenziale.

I governi non possono ignorare il tratto a lungo termine della curva

Visto che i governi tendono a emettere più titoli a breve termine, che costano meno, e la domanda strutturale di obbligazioni a lungo termine da parte di assicurazioni e fondi pensione sta calando, questa parte della curva diventa meno importante. Tuttavia, i governi non dovrebbero passare completamente all’emissione di titoli a breve termine. Un debito con scadenze più lunghe offre infatti una sorta di immunizzazione dai movimenti dei rendimenti, mentre concentrare le emissioni sulla parte a breve espone a rischi continui di rifinanziamento e a costi del debito crescenti. A dettare le regole saranno i bond vigilantes, non gli elettori. Più in generale, però, ampie porzioni dei costi di finanziamento del resto dell’economia dipendono dai rendimenti dei titoli di Stato a lunga scadenza: dai mutui alle obbligazioni societarie a lunga scadenza. Un premio più elevato su questo tipo di debito finirà per frenare l’attività economica, a parità di altre condizioni.