Dalle bolle alle opportunità: le quattro grandi domande del tech

Kristofer Barrett, Head of Global Equities, e Somesh Batra, tech analyst di Carmignac, -
  • IA : lo slancio potrebbe trasformarsi in una bolla?
    Kristofer Barrett: “All’interno del segmento IA stiamo osservando segnali contrastanti: da un lato avvisaglie di bolla speculativa, dall’altro opportunità reali. Troviamo società non ancora profittevoli, valutate su promesse molto ambiziose. Un fenomeno accelerato poche settimane fa dal tour mondiale del CEO di OpenAI, che ha alimentato la frenesia sull’intelligenza artificiale con una raffica di annunci su nuovi prodotti e partnership. Per alcune di queste società, gran parte delle notizie di oggi incorpora già aspettative su sviluppi previsti tra tre anni: in pratica, gli investitori stanno anticipando le narrazioni future, riducendo di conseguenza il potenziale di rendimento prospettico. Inoltre, negli ultimi tempi emergono segnali di stress nel mercato del debito privato, con il rischio di indebolire i segmenti più indebitati del settore tecnologico.
    I veri abilitatori dell’IA, però, come Alphabet, Microsoft e Amazon, stanno sostenendo investimenti in conto capitale enormi, spinti dall’esigenza di proteggere il proprio core business. Finanziando questi investimenti con flussi di cassa interni, tali società generano ritorni dai servizi esistenti e migliorano l’efficienza operativa attraverso l’integrazione dell’IA.
    Il nostro obiettivo quando investiamo nel segmento dell’IA è individuare aziende con profitti in crescita, non realtà la cui redditività futura si fonda esclusivamente su promesse.”
  • Utili da ia: ancora in ascesa – ma per quanto ancora?
    Somesh Batra: “Gli ultimi risultati trimestrali hanno nuovamente superato le aspettative, in particolare per i grandi nomi dell’IA come Nvidia, Microsoft, Alphabet e Amazon, con ricavi in crescita a doppia cifra e EPS (utili per azione) in aumento ancora più rapido. Questa crescita esponenziale riflette il boom della domanda computazionale: la generazione di “token” – un indicatore dell’uso di capacità di calcolo – sta raddoppiando circa ogni due mesi. Dopo la fase di pre-training dello scorso anno, in cui l’IA ha assimilato e generalizzato i dati umani disponibili, nel 2025 i modelli sono stati “affinati” per diventare esperti nei diversi settori di applicazione, dal coding all’assistenza clienti. Questo salto di qualità ha fatto impennare l’engagement degli utenti e il fabbisogno computazionale. Considerato però che i data center richiedono anni per essere costruiti, l’offerta non riesce a tenere il passo con la domanda, generando vincoli di capacità e maggiore potere di prezzo lungo tutta la filiera IA. Il risultato: i margini crescono più dei ricavi, sostenendo l’eccezionale espansione degli utili osservata nel settore. Alphabet rappresenta bene questa dinamica. L’intelligenza artificiale sta trainando una nuova fase di crescita per le sue attività core: la ricerca online beneficia di query più complesse e conversazionali, mentre i modelli di raccomandazione migliorati di YouTube alimentano un forte aumento del tempo di visualizzazione, rendendola oggi la piattaforma digitale più seguita negli Stati Uniti. Anche Google Cloud accelera, siglando contratti più grandi e con nuovi clienti, oltre il 70% dei quali utilizza già prodotti Google AI[1].

I rischi?

Sebbene la crescita resti notevole, la limitata disponibilità di hardware potrebbe rallentare il rilascio di modelli più grandi o avanzati. Tuttavia, tali vincoli creano anche opportunità d’investimento selettive, contribuendo a evitare eccessi di spesa in conto capitale.

Gli investimenti AI-related dei quattro hyperscaler statunitensi (Amazon, Microsoft, Alphabet e Meta) sono attesi in rallentamento il prossimo anno – una normalizzazione salutare dopo due anni di ipercrescita – pur mantenendosi su livelli elevati (+30% nel 2026). Questa spesa sostenuta continua a supportare l’intera catena del valore tecnologico, mentre una crescita più disciplinata del CapEx può rafforzare la generazione di cassa delle big tech.”

  • La corsa all’ia: l’asia puo’ sfidare la supremazia usa?
    Kristofer Barrett: “Sebbene i nomi più noti dell’IA siano perlopiù statunitensi, l’Asia non va sottovalutata, soprattutto guardando all’intera catena del valore dell’IA. Taiwan, ad esempio, ha un ruolo cruciale: produce il 90% dei chip più avanzati al mondo[2]. Questi chip alimentano data center, cluster di training per l’IA e dispositivi edge in tutto il mondo, rendendo possibile l’intelligenza artificiale moderna. Inoltre, tra i fornitori upstream di materiali essenziali per la catena dell’IA, Elite Materials occupa una posizione unica come produttore all’avanguardia di laminati in rame usati per chip e circuiti stampati. L’azienda si è affermata come fornitore strategico, grazie alla combinazione di scala, specializzazione e tecnologia brevettata, in un segmento ad alta barriera d’ingresso.”
     
    Somesh Batra: “La Cina, invece, rappresenta un vero sfidante nel campo dell’IA. Il caso di DeepSeek è stato un campanello d’allarme dal punto di vista dei modelli linguistici, ma meno dal lato infrastrutturale.
    “Se consideriamo i quattro vettori su cui si fonda l’IA, la Cina ha un accesso più ampio e immediato all’energia rispetto all’Occidente, dispone di un gran numero di data engineer e opera in un mercato meno regolamentato, favorendo un’adozione più rapida. Tuttavia, per il quarto elemento – i chip – è un’altra storia. Gli Stati Uniti detengono la leadership nel design e nella distribuzione dei semiconduttori, e continueranno a farlo, poiché i chip richiedono competenze e strumenti (forniti da aziende come ASML, Cadence e Synopsys) a cui la Cina non ha accesso.”

Kristofer Barrett: “La Cina può colmare il divario. Si è concentrata sull’obiettivo dell’indipendenza nella produzione di chip, ma sarà difficile per il Paese raggiungere i concorrenti nella fascia più avanzata dei semiconduttori di ultima generazione. Riteniamo che la Cina rappresenti una minaccia maggiore per aziende come Analog Devices, Infineon e STMicro, che sviluppano chip tecnologicamente meno complessi. Prendendo Huawei come esempio, è il principale attore nella produzione di IA in Cina, ma dipende ancora dai chip forniti da produttori esteri.”

  • Dove si trovano oggi le vere opportunità?
    Kristofer Barrett: “La supply chain dei semiconduttori è piena di colli di bottiglia, ma questi stessi vincoli generano opportunità d’investimento significative. Quando una filiera raggiunge il limite della capacità, le aziende capaci di superare tali limiti vedono crescere in modo esponenziale domanda e potere di prezzo. TSMC è al centro di questa dinamica. In molti sensi, tutte le strade portano a TSMC. Nel recente accordo tra OpenAI e Microsoft, ad esempio, le GPU che alimentano i modelli IA sono fornite da Nvidia, ma è TSMC a produrle. Allo stesso modo, i processori TPU di Google, progettati con Broadcom, dipendono dalla capacità produttiva di TSMC. Questa concentrazione rende TSMC al tempo stesso un nodo critico e un punto strategico dell’intera supply chain dell’intelligenza artificiale.”

    Oltre ai chip logici, vincoli simili si osservano nel segmento della memoria. Le High Bandwidth Memory (HBM), fondamentali per l’addestramento e l’esecuzione dei grandi modelli IA, sono prodotte solo da pochi fornitori, come SK Hynix in Corea del Sud. I rendimenti restano bassi e la capacità produttiva limitata, frenando ulteriormente le prestazioni e la scalabilità dei sistemi.

In sintesi, i colli di bottiglia indicano dove emergerà la prossima ondata di crescita e investimento.

Per quanto riguarda gli hyperscaler, continuano a generare importanti efficienze di costo grazie alla scala, agli effetti del network e a fattori strutturali come la trasformazione digitale delle imprese, la crescita dei dati e l’edge computing. Il loro CapEx rimane su livelli record, ma la moderazione della crescita anno su anno è un segnale salutare. E, aspetto cruciale, questi investimenti restano in gran parte autofinanziati.

Nel settore dei software, la maggior parte delle aziende, fatta eccezione per quelle infrastrutturali, ha sofferto per i timori legati alla disruption derivante dall’IA. Tuttavia, i fondamentali non confermano questo scenario. Salesforce ha rallentato la crescita, ma resta in territorio positivo e, con un rendimento da free cash flow del 5%, mantiene una forte redditività. Allo stesso modo, società come Atlassian e GitLab, che forniscono strumenti per sviluppatori, hanno subito forti correzioni nonostante svolgano ancora funzioni essenziali. Anche con l’adozione dell’IA, gli sviluppatori continueranno ad aver bisogno di repository di codice, piattaforme di collaborazione e strumenti di project management. In sintesi, il rischio di disruption appare sovrastimato: crediamo che le software company dispongano di ampio spazio per sfruttare l’IA come fattore abilitante, non come minaccia.”