Il Nasdaq vuole “americanizzare” le azioni tokenizzate. Perché a Wall Street piace (e preoccupa) e cosa significa per l’Europa

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L’annuncio del Nasdaq di voler far rientrare le azioni tokenizzate nel perimetro pieno della vigilanza statunitense segna il momento in cui la tokenizzazione smette di essere un esperimento crypto e diventa infrastruttura di mercato. Nel filing alla SEC, il listino tecnologico spiega di voler permettere a membri e investitori di tokenizzare titoli azionari ed ETP “mantenendo stabilità, equità e tutele per gli investitori” . È un modo per dire: stessa azione, stesse regole, solo che si muove su blockchain.

La stampa americana ha letto la mossa in chiave soprattutto regolatoria. Già un mese fa Reuters ha parlato di una “corsa” alla tokenizzazione che sta accendendo i radar delle case tradizionali, perché molti dei token oggi in giro “non offrono i diritti e le protezioni” degli equivalenti azionari e possono creare rischi per la stabilità del mercato . In altre parole, meglio che lo faccia Nasdaq sotto SEC che una piattaforma offshore. Anche Politico Pro ha sottolineato che il progetto mette Wall Street al centro della “frenesia” per i titoli on-chain, invece di lasciarla alle crypto-exchange nate fuori dai perimetri americani . E il fatto che la SEC, con il progetto “Crypto”, stia già studiando come portare i mercati “on-chain” rende il timing ancora più chiaro: Washington preferisce incorporare l’innovazione, non inseguirla.

Secondo le ultime informazioni, la SEC potrebbe esprimersi sulla proposta entro il 8 dicembre 2025, salvo estensioni o richieste di informazioni supplementari. È importante segnalare che il sito della SEC riporta che, a causa di un blocco dei finanziamenti federali, l’agenzia ha ridotto le sue operazioni dal 1° ottobre 2025, il che potenzialmente potrebbe rallentare il processo di esame.

C’è però anche la lettura prudente. Testate finanziarie USA hanno ricordato che, per la SEC, un titolo resta un titolo “che sia su carta o su blockchain”, quindi disclosure, registrazione e reporting restano necessari; chi sperava in una scorciatoia regolatoria non la troverà qui. E siti di educazione finanziaria hanno avvertito che la tokenizzazione, di per sé, non elimina i rischi né garantisce migliori condizioni per i piccoli investitori: cambiare il contenitore non cambia la natura del rischio azionario.

Dal punto di vista strategico, è una mossa molto americana: i token su azioni stanno crescendo. Il mercato è ancora piccolo ma con stime fino al trilione di dollari nei prossimi anni: tanto vale farli passare per l’infrastruttura più regolata e più liquida del mondo, quella di Nasdaq. Così si tiene insieme innovazione (trading potenzialmente 24/7, regolamento più veloce, tracciabilità) e presidio pubblico sul prezzo e sui dati di mercato.

Dal mio punto di vista, l’iniziativa di Nasdaq è un passo fondamentale verso l’integrazione tra finanza tradizionale e finanza digitale, ma l’elemento cruciale sarà la chiarezza regolamentare e la tempistica.
Se la SEC approverà entro fine anno, potremmo assistere all’avvio di una fase pilota che attrarrà investitori, piattaforme e operatori fintech. Viceversa, un rallentamento rischierebbe di dare vantaggio ad altre giurisdizioni meno regolamentate, e l’Europa potrebbe trovarsi in una posizione competitiva più debole.

In ogni caso, il processo richiederà che le borse, i regolatori, gli intermediari e le infrastrutture tecnologiche siano perfettamente sincronizzati: le azioni tokenizzate sul Nasdaq non saranno un “giocattolo blockchain” ma strumenti con lo stesso statuto e tutela delle azioni tradizionali. E su questo dipenderà la fiducia degli investitori e il successo dell’operazione.

Che cosa può significare per le borse europee? A mio avviso, almeno tre effetti. Primo: alza l’asticella. Se Nasdaq offre azioni tokenizzate “super-regolate”, sarà più difficile per un mercato europeo proporre versioni più leggere senza sembrare meno sicuro. Secondo: accelera l’integrazione tra regolazione su titoli e regolazione digitale. L’UE è già avanti con MiCAR, ma lì il focus è stato soprattutto sulle cripto e meno sull’azionario on-chain; una mossa USA così visibile può spingere ESMA e le authority nazionali a chiudere più in fretta il cerchio anche sui security token. Terzo: può riaprire il dossier competitività. Se gli investitori globali percepiscono che negli Stati Uniti possono avere stesso titolo, stessa tutela e in più efficienza da tokenizzazione, i flussi potrebbero preferire New York a Milano, Parigi o Francoforte, salvo che le piazze UE rispondano con soluzioni equivalenti.

L’Europa ha un vantaggio di metodo: è già abituata a norme armonizzate e sandbox per la DLT (Distributed Ledger Technology) ovvero un ambiente di sperimentazione regolamentato, introdotto dall’Unione Europea per permettere a banche, borse e startup fintech di testare nuovi servizi finanziari basati su blockchain (come la tokenizzazione di azioni, obbligazioni o fondi), senza dover rispettare immediatamente tutte le norme tradizionali dei mercati regolamentati.

Se Bruxelles saprà presentare la tokenizzazione come estensione naturale del mercato unico dei capitali, anziché come nicchia crypto, potrà trasformare l’iniziativa Nasdaq in uno stimolo, non in una minaccia. Ma è chiaro che, dopo la mossa americana, la tokenizzazione non è più territorio di start-up: è arrivata ai livelli più alti.