Plenisfer SGR: “I tre fattori di rischio nel credito High Yield che il mercato ignora”

Mauro Ratto, Co-Founder e Co- Chief Investment Officer, Plenisfer Investments SGR -

Il ciclo attuale si caratterizza per essere estremamente lungo, con spread ai minimi e tassi di default molto bassi. In questo scenario il segmento del credito High Yield sembra particolarmente solido.

Ma è realmente così?

Dall’analisi di alcune dinamiche in atto emergono tre fattori di rischio che il mercato tende a sottovalutare.

Il primo è la correlazione tra la minore frequenza di default e la crescente diffusione di operazioni non convenzionali di gestione del passivo aziendale.

Tra queste figurano le operazioni di uptiering, sempre più frequenti negli Stati Uniti e ora anche in Europa. Attraverso queste operazioni un’azienda in difficoltà finanziaria sigla un nuovo contratto di finanziamento con uno o più ”prestatori di ultima istanza” – generalmente fondi di private debt – che approfittando delle limitate o quasi nulle protezioni contrattuali sul debito esistente (obbligazioni e sovente anche prestiti bancari) concedono nuovi crediti garantiti che si collocano in cima alla struttura del capitale, ossia con priorità di rimborso rispetto ai finanziamenti in essere. Nel breve termine, questo consente all’azienda di evitare il default e all’azionariato di riferimento di mantenere il controllo sulla società, a discapito dei creditori esistenti – bond holders e spesso anche banche – il cui credito diviene subordinato e, quindi, di fatto svalutato anche in assenza di un default immediato.

La diffusione crescente di questo tipo di operazioni deve essere valutata anche alla luce della dimensione sempre più rilevante raggiunta a livello globale dal Private Debt, stimata oggi in circa 2 trilioni di dollari​​​​​​ poiché l’enorme offerta di fondi da collocare sul mercato aumenta in modo esponenziale il rischio di maggiori compromessi sulla qualità del creditore.  Il recente fallimento dell’azienda di ricambi auto First Brands è un caso esemplare di come, nel contesto attuale di mercato, una società con governance, finanziamenti e collaterali (garanzie) di dubbia qualità, abbia comunque potuto perseguire politiche aggressive di indebitamento e, di fronte a una crisi di liquidità, sia riuscita per diverso tempo a rimandare il proprio fallimento attraverso manovre finanziarie opache, con poste fuori bilancio per svariati miliardi.

Il crollo di First Brands evidenzia, quindi, i significativi rischi connessi alla mancanza di trasparenza di operazioni fuori bilancio e complessi accordi di finanziamento commerciale che possono generare perdite sostanziali e danni reputazionali per diverse importanti società finanziarie. Inoltre, il crollo di First Brands potrebbe costituire la prima chiara evidenza di un rischio seriamente sottovalutato, capace di estendersi rapidamente all’intero mercato, data la fragilità degli attivi sottostanti.

In questo scenario, solo un’attenta analisi dei prospetti e dei covenant a protezione del credito, oltre ad una valutazione della qualità del management e della proprietà, consente agli investitori di quantificare correttamente il rischio ad esse connesso, oggi largamente sottovalutato.

D’altra parte, con l’aumentare delle operazioni non convenzionali di gestione del passivo aziendale, crescono anche i relativi contenziosi.

Nel caso “Serta Simmons” una Corte D’Appello negli Stati Uniti ha valutato che un’offerta di debito super-prioritario ad un gruppo selezionato di creditori violasse il principio di rimborso pro rata e il patto implicito di buona fede. In quel caso specifico la Corte ha evidenziato i limiti delle operazioni di gestione delle passività che modificano la priorità dei creditori senza l’accordo chiaro di tutti i soggetti coinvolti.

E’ questo il secondo fattore di rischio: una crescente consapevolezza sul fatto che la subordinazione non sia certa, potrebbe innescare una crisi di fiducia in queste operazioni e relativi veicoli, non molto diversa da quella vissuta con la crisi dei subprime. L’effetto contagio propagherebbe la crisi rapidamente al segmento dei bond HY.

Nella scia del caso appena descritto si inserisce quello di Ardagh Group. La “ginnastica finanziaria” legata a queste operazioni di gestione del passivo societario altera qui la scala di priorità che, in una ristrutturazione del debito, dovrebbe normalmente vedere l’equity azzerato. Ardagh Group – società distressed irlandese produttrice di imballaggi metallici e in vetro – ha recentemente ristrutturato il proprio bilancio attraverso uno swap debito-equity relativo a circa 4,3 miliardi di dollari di obbligazioni, su un indebitamento complessivo superiore ai 10 miliardi di dollari. In questa operazione, i creditori senior secured risultano in larga parte tutelati, mentre i detentori delle obbligazioni senior unsecured ricevono il 92,5 % del capitale di una società non quotata e ne assumono il controllo, e i possessori delle obbligazioni “Payment-in-Kind (PIK) vengono fortemente diluiti, ottenendo solo il 7,5 % del capitale. In particolare, gli attuali azionisti di Ardagh riceveranno circa 300 milioni di dollari, di cui poco più di 100 milioni andranno all’azionista di controllo, in cambio della cessione della loro partecipazione. L’operazione è già oggetto di contestazioni legali da parte di alcuni creditori PIK, che sostengono violi l’ordine tradizionale di priorità tra debito e capitale, ma resta un caso che evidenzia come, nelle ristrutturazioni di emittenti HY, il confine tra debito e capitale proprio possa diventare estremamente labile.

Il terzo fattore di rischio nel credito HY riguarda il crescente fenomeno delle emissioni finalizzate a distribuire dividendi agli azionisti, i cosiddetti dividend recap.

Queste operazioni, storicamente marginali sul totale delle emissioni HY, hanno assunto nel 2025 una dimensione più rilevante, arrivando ad inizio estate a pesare per l’8% delle emissioni HY europee e il 5% circa delle emissioni HY in USA​​​​​​. Parallelamente, assistiamo alla contrazione delle operazioni di leveraged buyout e di IPO di società partecipate da fondi di Private Equity: nonostante un mercato azionario caratterizzato da multipli elevati, i fondi faticano a portare le società sul mercato. La conseguenza per i fondi è la riduzione della capacità di restituire capitale ai propri investitori, difficoltà che viene superata attraverso operazioni di dividend recap. Tali operazioni consentono ai fondi di distribuire liquidità mantenendo il controllo delle società, al prezzo, tuttavia, di aumentarne la leva complessiva e i rischi legati alla sostenibilità del debito e dei flussi di cassa futuri.

Questo fenomeno richiede agli investitori una maggiore attenzione nella valutazione della qualità effettiva del debito e della sostenibilità della struttura del capitale delle società emittenti, andando oltre il solo rating o il livello di spread nell’analisi dell’opportunità di investimento.

Conclusione

Le fragilità emerse restano sotto stretta osservazione. In definitiva, una situazione di conflitto permanente tra le diverse classi di creditori finisce per nuocere al mercato del credito stesso: l’incertezza che ne deriva si riflette in un aumento del costo del capitale e, in ultima analisi, penalizza anche gli operatori dei mercati private, i quali a loro volta dipendono dal credito per sostenere la propria operatività. Il deterioramento di questo ecosistema sarà in larga misura condizionato dall’evoluzione del ciclo macroeconomico: una sua eventuale decelerazione potrebbe agire da catalizzatore per una fase più estesa di stress finanziario.

Oggi più che mai assumono rilevanza la leva finanziaria, la qualità dei covenants e le clausole contrattuali nelle transazioni di credito. La finalità dell’indebitamento e, soprattutto, la presenza di un management team di qualità — trasparente e capace di mantenere la fiducia dei capital markets — rappresentano elementi determinanti per costruire portafogli di credito solidi e resilienti. Una gestione attiva, flessibile e fondata su analisi quantitative e qualitative, consente di evitare esposizioni eccessive verso strumenti solo apparentemente sicuri, di cogliere le opportunità offerte da situazioni di mispricing del rischio e di preservare il capitale in contesti di maggiore volatilità o stress macroeconomico.