Debito pubblico italiano al 137,9% del PIL: le cause e le ricadute sull’economia europea
Nel primo trimestre del 2025, il debito pubblico italiano è salito al 137,9% del PIL, con un incremento di 2,5 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2024. Il dato emerge dall’ultimo rapporto di Eurostat, che segnala un aumento generalizzato del debito tra i Paesi dell’Unione Europea: la media UE è cresciuta dall’81% all’81,8%, mentre nell’eurozona si è passati dall’87,4% all’88%.

Un trend europeo, ma l’Italia spicca in negativo
L’Italia si conferma tra i Paesi più indebitati d’Europa, seconda solo alla Grecia (152,5%). Francia (114,1%), Belgio (106,8%) e Spagna (103,5%) seguono a distanza, mentre Paesi come Bulgaria (23,9%) ed Estonia (24,1%) mostrano una gestione più virtuosa. In controtendenza, Irlanda, Grecia e Lettonia sono riuscite a ridurre il rapporto debito/PIL.
Secondo gli analisti, l’aumento del debito in Italia è il risultato di debole crescita economica, elevata inflazione, spesa pubblica espansiva e persistenti squilibri strutturali. Le misure straordinarie adottate per contenere i costi energetici e le ricadute post-pandemia hanno ulteriormente aggravato la posizione dello Stato.
Le implicazioni per la stabilità economica
L’incremento del debito pone l’Italia in una posizione di vulnerabilità. Un alto rapporto debito/PIL limita i margini di manovra del governo e può influire negativamente sulla fiducia degli investitori, con il rischio di un aumento del costo di finanziamento. Le agenzie di rating e i mercati guardano con attenzione alle prossime mosse dell’esecutivo: un ulteriore deterioramento del quadro macroeconomico potrebbe avere ripercussioni significative sulla stabilità finanziaria.
La sostenibilità del debito dipenderà in gran parte dalla capacità del Paese di riattivare la crescita. In questo senso, saranno cruciali le politiche industriali, le riforme del mercato del lavoro e l’attrazione di investimenti esteri. Anche la pianificazione del bilancio statale richiederà maggiore disciplina, evitando misure una tantum che spingano ulteriormente verso l’alto il deficit.
Un problema comune, ma con risposte diverse
Sedici Stati membri dell’UE hanno registrato un aumento del debito nel primo trimestre del 2025. Austria e Slovacchia sono cresciute di 3,5 punti percentuali, Slovenia di 2,9. Anche Polonia e Belgio hanno segnato incrementi rilevanti. Tuttavia, il ritmo e l’intensità delle reazioni variano, con alcuni governi più attivi nel contenere la spesa e altri orientati a sostenere la domanda interna.
Secondo Eurostat, l’83,6% del debito europeo è composto da titoli di Stato, mentre il 13,9% da prestiti e il 2,5% da contanti e depositi. L’alta incidenza dei titoli obbligazionari comporta una maggiore esposizione al rischio tassi: con il possibile rialzo dei tassi da parte della BCE, i Paesi più indebitati – Italia in testa – potrebbero trovarsi a fronteggiare maggiori oneri di servizio del debito.
Le prospettive: politiche fiscali e riforme
Le proiezioni indicano che, senza una svolta politica, il rapporto debito/PIL potrebbe continuare a crescere nei prossimi trimestri. Per evitarlo, sarà necessario un approccio più rigoroso, che combini controllo della spesa e stimolo agli investimenti produttivi. Un ruolo cruciale spetta alla cooperazione europea, che dovrà favorire un coordinamento più stretto tra le politiche fiscali dei singoli Stati.
Il rischio più concreto è quello di una crescente divergenza economica all’interno dell’Unione. Se da un lato alcuni Paesi riescono a contenere l’indebitamento e a rafforzare le proprie basi industriali, altri – come l’Italia – devono affrontare un circolo vizioso tra stagnazione e debito.
Il superamento del 137% del rapporto debito/PIL rappresenta per l’Italia un campanello d’allarme. In un contesto globale segnato da tensioni geopolitiche, politiche monetarie restrittive e cambiamenti strutturali, la gestione del debito pubblico non può più essere rimandata. Servono riforme coraggiose, crescita sostenibile e una visione strategica che superi la logica emergenziale e punti alla solidità finanziaria di lungo periodo.

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