Fondazione Spremberg: una nuova prospettiva per il verde non solo a Milano. Una nuova ottica di interventi urbanistici
Una nuova prospettiva per il verde (prima parte)
— di Lapo Mazza Fontana —
Ormai ci siamo arrivati. Come titolava un significativo film di Daniele Lucchetti, uscito nel 1993 in piena marea di Tangentopoli: ARRIVA LA BUFERA. Il film, uscito due anni dopo il profetico IL PORTABORSE con Nanni Moretti e sempre firmato da Lucchetti, piccolo grande maestro del cinema italiano, in realtà ne era quasi la logica prosecuzione, in un momento storico italiano in cui ci si illuse che il cancro endemico della inefficienza dello Stato e della corruzione in Italia potessero essere realmente combattuti e persino forse sconfitti.
Pia illusione ovviamente. Nel 1994 arrivò Silvio Berlusconi e Forza Italia, promise il “nuovo miracolo italiano”, inventò un nuovo partito di plastica alleandosi con quelli che erano rimasti sostanzialmente fuori dal sistema, ovvero gli ex fascisti del MSI e i nuovi arrivati secessionisti settentrionali della Lega Lombarda e Veneta (poi Lega Nord, poi solo Lega), arruolò i sopravvissuti alla bufera, naufraghi di seconde e terze file dei vecchi partiti, e le illusioni finirono presto in cantina. Trent’anni di propaganda, di trasformismo acrobatico, di disprezzo per la funzione pubblica e di idolatria dell’arricchimento personale hanno determinato la sistematica distruzione di un intero sistema-paese, con il bel risultato di non essere nemmeno capaci di abolire le accise sui carburanti imposte per finanziare la Guerra d’Etiopia del 1935/36.
Passati trent’anni la situazione è sostanzialmente la stessa dal punto di vista della palude istituzionale e politica, ma è tragicamente declinata: destra e sinistra si spartiscono sempre la torta, facendo finta di contrapporsi, ma nel frattempo l’Italia è passata dall’essere la quinta economia mondiale a paese povero (persino paese-porco, secondo una definizione dei Media anglosassoni), sebbene ancora, pare, trai primi dieci del ranking. Ma con indicatori drammatici, come il livello dei redditi e del potere di acquisto vs inflazione, con i redditi diminuiti del 3% in trent’anni a fronte di un aumento ad esempio in Francia del 30% (TRENTA) nello stesso trentennio. Un aumento di prezzi e di inflazione totalmente fuori controllo, nonostante i perennemente rassicuranti dati ISTAT (giova ricordare ente controllato dal governo).
La desertificazione post-industriale
La desertificazione post-industriale e la delocalizzazione, fenomeno non certo solo italiano, si è tradotto in un disastro socioeconomico nel paese tutt’oggi secondo o terzo per vocazione manifatturiera in Europa dopo la Germania e la Francia. Si potrebbero scrivere enciclopedie sull’elenco di ciò che rendeva ieri e rende oggi l’Italia un paese drammaticamente arretrato rispetto a quasi TUTTI gli altri paesi europei: un paese bellissimo e perennemente malato. E se il paese è bellissimo e perennemente malato Milano e Roma ovviamente ne sono i due simboli e le due massime espressioni, così simili e nel contempo così diverse dalle altre grandi ed importanti città italiane, in un contesto storico nazionale di Città-Stato sviluppatesi da sempre sulla contrapposizione dei molti orgogliosi e potenti campanili.
A Milano le cose succedono prima
Milano in particolare è un faro di attrazione proprio perché unica nel panorama italiano, molto più di Roma in tal senso: la città più euroitalica in senso assoluto, dove le cose succedono prima, e non solo a livello italiano ed europeo, ma soprattutto a livello mondiale. Una città che però vive ed è sempre vissuta di grandi risultati a braccetto con macroscopici errori, proprio come città, e proprio come concetto urbano. Semidistrutta dai barbari, quasi totalmente distrutta dal Barbarossa, distrutta a rate soprattutto dagli stessi milanesi, in piccola parte distrutta (ma in realtà molto meno di ciò che si dice per convenzione) dai bombardamenti angloamericani nell’ultima guerra. Ancora più distrutta dalla speculazione edilizia o da molte follie urbanistiche che ne hanno letteralmente sconvolto la identità millenaria. Deprivata dei propri canali d’acqua e dei propri giardini e prati ed orti, onnipresenti (anche se i milanesi neanche ne conservano la memoria) fino alla loro eliminazione, portata cinicamente a termine per favorire una malcompresa idea di modernità, a spiccio favore di mobilità per commerci e industria. Il Novecento ha stuprato Milano, proprio a cavallo tra le due guerre e poi oltre, nel dopoguerra del Boom economico, ma la ha anche resa un unicum mondiale, e non solo in negativo.
Milano e la sua narrazione identitaria moderna
Milano aveva già una sua narrazione identitaria moderna: la città della Torre Velasca e dei primi grattacieli italiani del primo Boom, la città che non si ferma mai, la “Milano da bere” degli anni d’oro del “secondo boom” e la Milano International dell’Expo e del “terzo Boom” degli ultimi dieci anni. Grandi risultati, è evidente; eppure oggi Milano, esattamente come al declino dei primi due Boom, è una città in crisi drammatica: grave inquinamento costante (di cui nessuno parla, come se fosse scontato, anche perché nessuno alza un dito per risolverlo neanche in parte, se non con operazioni controproducenti o vere e proprie truffe sedicenti ecologiche, come i tentativi, purtroppo riusciti, di costringere uno dei più grandi paesi produttori di automobili a suicidarsi distruggendone il mercato), criminalità al limite del fuori controllo (negata oltre ogni vergogna dai vertici di Palazzo Marino), tenore di vita in crollo costante, insoddisfazione generale quando non disperazione, se non ancora ira, prezzi e costi insostenibili, impossibilità di creare numeri consistenti di nuovi nuclei familiari, se non di immigrati, condannando la città alla estinzione demografica oppure alla realtà della sostituzione etnica. I milanesi erano per vocazione mediolanense da terra di mezzo abituati al MELTING POT ed alla accoglienza, ma nessuno si abitua volentieri alla scomparsa di sé stessi, in svendita al peggior offerente, perché la idea di fare di Milano una nuova grossa e più mondana Montecarlo per ricchi è evidentemente una stupidaggine: Milano è una metropoli al centro del Nord Italia, non un microstaterello in Costa Azzurra.
Cemento e smog
Milano quindi da oltre cento anni ha un principale problema MORTALE: il cemento, gemello del correlato problema ancor più mortale dello SMOG. Certamente, l’inquinamento è una piaga di tutta la valle padana e non solo di Milano, ma Milano ne è il campione assoluto, reo confesso e consapevole ma nel contempo sfrontato e persino tronfio del proprio modello cementizio nonché nemico giurato del verde; questo perenne intralcio ad un costrutto mentale fatto di una epica dell’opificio, della estetica industriale e postindustriale, del progresso che non guarda in faccia nessuno, dell’individuo alla guida del motore veloce futurista, anche del mattone da vendere, in definitiva, dei DANÉE, come si dice in milanese. Perché a Milano “se sta mai cui man in man”, anche e soprattutto se c’è da distruggere, da abbattere, da ricostruire, raramente in meglio. Milano non si è sviluppata in ampiezza, come invece ha fatto Roma, ma ha optato su una metamorfosi talvolta kafkiana per rivendersi all’infinito.
La grande Milano medievale e rinascimentale, la città più importante d’Italia dell’era aurea di Leonardo da Vinci semplicemente non esiste più, azzerata dalla cupidigia dei milanesi passati (e presenti, in un certo senso). Se fosse successa la stessa cosa nel resto d’Italia al posto di Roma avremmo Ostia, al posto di Napoli avremmo Scampia, al posto di Firenze avremmo Calenzano e al posto di Torino avremmo Chivasso. Che bellezza.
Il lifestyle milanese
PURTUTTAVIA ovviamente Milano deve la sua importanza di capitale mondiale del Design, della Moda, del Lusso e anche di una versione operosa della Dolce Vita, ovvero di un vero e proprio LIFESTYLE milanese, ANCHE grazie al cemento, all’edilizia, al mercato immobiliare (oggi dicasi Real Estate, perché il vizio del “tu vo’ fa l’americano” è in realtà milanese e non napoletano) ai grandi maestri della architettura italiana e milanese in particolare.
Milano non sarebbe Milano senza Giovanni Muzio, Giuseppe Terragni, Aldo Rossi, Ignazio Gardella, Piero Portaluppi, Achille Castiglioni, Gio Ponti, Gae Aulenti fino ad arrivare agli architetti contemporanei come Stefano Boeri e Cino Zucchi, ma anche, e sarebbe surreale negarlo, grazie agli imprenditori che oggi sono nel centro del mirino come Manfredi Catella, per tacere di altri notevoli talenti milanesi e non, qui ed in seguito citati o meno per sintesi. Talvolta costruttori e nel contempo distruttori anche loro, anche se ovviamente di fama e talento: gli architetti ed i loro committenti non hanno tutti avuto uguali sensibilità ambientali, spesso sacrificate sull’altare della vanità. MA CHI LO HA DETTO che dobbiamo ancora vivere in una bolla postfuturista di cemento e acciaio (neanche più di marmo) priva di alberi, di parchi, di giardini ed orti, di rampicanti, di viali boscosi, se non in una ottica veramente iper-anacronistica ormai totalmente assurda (sebbene tutt’ora perseguita dalle Istituzioni milanesi: vedasi il caso emblematico delle aride, desertiche ed asfissianti piazze-simbolo di Milano come San Babila, Duomo, Cordusio, Cairoli, nonché il vertice di nonsense assurto a follia della ristrutturazione di corso Buenos Aires/corso Venezia, o ancora peggio il progetto per ora abortito di piazzale Loreto, vero e proprio monumento surrealista alla assenza del verde cittadino?

(nella foto: il progetto dello studio Ceetrus Nhood ridisegna piazzale Loreto)
Un piano organico di espansione
È palese che il progresso era e a maggior ragione è e sarà viceversa un piano organico di espansione geometrica e omnicomprensiva di VERDE URBANO DIFFUSO, anzi onnipresente. Altro che Bosco Verticale; brillante quanto elitario lager per ricchi: il VERDE è un ASSET pubblico, un diritto universale, una soluzione che è sempre stata lì e che abbiamo svillaneggiato per empietà e per eccesso di avidità e di acidità di stomaco.
Quante volte giova anche qui ribadire che il verde urbano è il fattore chiave dell’assorbimento e parziale ripulitura di fattori inquinanti, la lotta contro i quali non è tassativamente più procrastinabile? Quante volte giova qui ricordare che il verde urbano è un fattore chiave di abbassamento delle eventuali eccessive temperature estive come anche di quelle normalmente elevate, al di là di ogni polemica e contrapposta tesi climatologica mondiale, problema che causa ogni anno un numero consistente persino di patologie mortali? Quante volte giova qui ricordare la importanza determinante del VERDE URBANO, in grande quantità e non simbolico, a colpi di patetici alberelli con le altrettanto patetiche microaiuole di corso Buenos Aires, trasformato in una autentica camera a gas, laddove prima della guerra i filari degli alberi arricchivano la più popolare arteria della città consentendo non solo il passeggio e gli acquisti nei bei negozi, ma anche il traffico delle auto, anche se al tempo in misura ridotta, e persino del trasporto pubblico sui classici tram milanesi che all’epoca passavano ancora di lì?
Sì, è arrivata la bufera. Eppure a Milano molte realtà di costruttori, imprenditori immobiliari, architetti, centri studi, università, erano decenni che lanciavano allarmi su allarmi e invocazioni costanti non solo a non distruggere l’esistente, come si è fatto coram populo, perché anche i milanesi ci hanno messo la loro parte di ottusità (vogliamo ricordare il caso celebre del Bosco di Gioia, inutilmente abbattuto per la semplice vanità cementizia del cosiddetto FORMIGONE, il mai necessario complesso della Regione Lombardia, che in pieno delirio di onnipotenza non poteva più sopportare di risiedere al Grattacielo Pirelli, che da orgoglio meneghino era in quel tempo diventando demodé?)?
Una contro-rivoluzione verde
Ebbene, nei prossimi articoli spiegheremo perché anche la Fondazione Spremberg si pone come uno dei protagonisti di questa contro-rivoluzione VERDE, con un ventaglio di proposte, di iniziative e di azioni a tutela di una nuova ottica di interventi urbanistici in un momento tanto determinante, come abbiamo detto, veramente non solo per Milano, ma senza neanche troppa enfasi, realmente anche per il resto del mondo.

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