La Cina scatenata sulle terre rare. La corsa globale tra potere industriale, sicurezza e rischi per la sostenibilità
La corsa globale alle terre rare
Il mercato delle terre rare è oggi epicentro di una maratona geopolitica. Stati Uniti, Australia, Giappone ed Europa stanno facendo a gara per diminuire la dipendenza da Pechino, che continua a detenere il controllo quasi totale della produzione e raffinazione di questi minerali essenziali per chip, auto elettriche, difesa e energia verde.

Un monopolio difficile da scalfire
La Cina domina il settore con una quota del 70% nell’estrazione, circa l’85‑90% nella raffinazione e oltre il 90% nella produzione di magneti avanzati. Grazie a investimenti statali, regolamentazioni flessibili ed economie di scala, la Cina ha creato una filiera integrata che impone agli altri Paesi di rincorrerla. Inoltre, con nuove normative del 2025, ha ampliato le quote e i controlli anche sulle materie prime importate, consolidando ulteriormente il suo potere contrattuale.
Contromosse occidentali: dalla dipendenza alla resilienza
In risposta, Stati Uniti e Australia stringono alleanze industriali. Secondo il Financial Times, Lynas, il principale produttore extra-Cina, sta raccogliendo centinaia di milioni per espandere la sua capacità estrattiva e aprire stabilimenti di produzione negli USA e in Malaysia, con il supporto politico e finanziario di Washington, Canberra e Tokyo.
Parallelamente, gli USA valutano di destinare 2 miliardi di dollari del CHIPS Act per fortificare la filiera interna (estrazione e raffinazione), riducendo la vulnerabilità strategica. MP Materials ha già avviato la produzione di neodimio e prasiodimio negli Stati Uniti, ricevendo investimenti anche da Apple e dal Dipartimento della Difesa.
Infine, Australia sperimenta meccanismi di stabilizzazione dei prezzi: Wyloo propone un sistema con “price floor and ceiling” per rendere gli investimenti sostenibili e meno dipendenti da fondi pubblici.
L’impatto ambientale: un prezzo troppo alto
L’attività estrattiva delle terre rare provoca enormi danni ambientali. In Cina, l’estrazione da siti come Bayan Obo e Baotou ha generato milioni di tonnellate di scarti tossici, contaminando acqua, suolo e mettendo a rischio la salute delle comunità locali. La miniera di Bayan Obo, nella Mongolia interna, detiene gran parte delle riserve globali (oltre 40 milioni di tonnellate) ed è simbolo di un conflitto tra sviluppo e tutela dell’ambiente.
Prospettive e sfide future
Gli analisti avvertono: rompere il dominio cinese richiederà anni di investimenti e volontà politica. Intanto, le pressioni geopolitiche spingono l’Occidente a diversificare le forniture, includendo Brasile, Sudafrica, Namibia e Groenlandia, quest’ultima ricca di risorse ma complessa da esplorare per i costi ambientali e logistici. Il rischio è che la corsa ricerchi soltanto alternative, senza considerare la sostenibilità.
Come sottolinea The Guardian, senza regole etiche, questa gara rischia di riproporre gli stessi danni ecologici e sociali già osservati.

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