Pippo Baudo e la televisione italiana: eredità, contraddizioni e sfide culturali. Cross-medialità in espansione
Tra nazional-popolare e qualità: quale futuro per il piccolo schermo?
Pippo Baudo è stato una delle figure più iconiche della televisione italiana. Con la sua presenza carismatica e la capacità di tenere il palco, ha segnato un’epoca, imprimendo al piccolo schermo un’impronta che ancora oggi si avverte. Non a caso Umberto Eco definiva la televisione “il romanzo nazionale” del nostro Paese, e Baudo ne è stato senza dubbio uno degli autori principali.
Ma dietro a questa eredità luminosa, la TV italiana porta con sé anche contraddizioni. Lo stile “nazional-popolare” che ha caratterizzato i decenni passati, e che Baudo ha interpretato con grande maestria, è stato ulteriormente consolidato dall’avvento delle reti commerciali di Silvio Berlusconi negli anni Ottanta. Un modello televisivo pensato per intrattenere, fidelizzare e soprattutto veicolare messaggi pubblicitari, ancora oggi pilastro economico del settore.

Secondo il Rapporto Censis 2024, la televisione resta il mezzo più seguito dagli italiani: l’83,5% della popolazione dichiara di guardarla regolarmente, con picchi tra le fasce più anziane. Tuttavia, la ricerca sottolinea anche una preoccupante stagnazione dei contenuti: “La TV generalista privilegia format consolidati e poco innovativi, con scarso investimento su cultura, scienza e divulgazione.”
Un pubblico “sotto-acculturato”
Il risultato? Un’offerta che spesso contribuisce a mantenere il pubblico “sotto-acculturato”, come sostengono diversi sociologi dei media. Una televisione più vicina alla grande tradizione culturale italiana, dalla letteratura al teatro, fino alla scienza, rischierebbe di ridurre l’appeal pubblicitario, allontanando le masse e minando il modello di business su cui il sistema si regge.
Non mancano, però, le eccezioni. Rai3, con il lancio di programmi come Report o Che tempo che fa (ora passato sul Canale Nove), o La7, con talk di approfondimento politico e culturale, rappresentano ancora uno spazio di resistenza. Eppure, spesso queste trasmissioni vengono etichettate come “di parte” o addirittura “comuniste”, con un effetto paradossale: il marchio politico finisce per scoraggiare una parte del pubblico dall’avvicinarsi a contenuti più complessi. Forse a qualche stratega della comunicazione piace così.
A complicare il quadro, l’invasione dei telefilm americani, sempre più dominanti nei palinsesti: ha contribuito a diffondere modelli di vita basati su violenza, individualismo, culto del denaro ed edonismo. Un immaginario lontano dalla cultura italiana, che ha sostituito in gran parte i racconti popolari di un tempo.
Oggi la sfida della televisione italiana sembra essere questa: trovare un equilibrio tra intrattenimento e qualità culturale, in un panorama dominato dalle piattaforme di streaming e da un pubblico sempre più frammentato. Come ricordava Tullio De Mauro, “senza cultura non c’è libertà.” E forse è proprio la TV, ancora capace di entrare in tutte le case, a doversi assumere la responsabilità di non rinunciare a quel ruolo educativo che un tempo aveva.
Tempo medio davanti alla TV: un primato italiano
Nel 2024, gli italiani hanno passato in media 3 ore e 24 minuti al giorno davanti alla televisione, la cifra più alta tra i principali Paesi internazionali, e in aumento di 2 minuti rispetto al 2023. Questo dato, se da un lato evidenzia la resistenza del mezzo televisivo, dall’altro sottolinea la sua capacità di catturare l’attenzione in un periodo sempre più dominato dal digitale.
Ascolti in crescita: cross-medialità in espansione
Secondo il Rapporto Censis/Auditel 2025, gli ascolti della TV lineare nel 2024 sono cresciuti, sia nel giorno medio sia in prima serata, grazie anche alla spinta della cosiddetta Total Audience (che somma le visualizzazioni televisive e digitali). La cross-medialità ha trasformato il modo di fruire i contenuti: il 43,2% degli italiani afferma che lo streaming ha aumentato il proprio consumo mediatico, mentre oltre la metà del pubblico (56,7%) filtra attivamente la pubblicità che vuole vedere
Il declino della TV come fonte primaria di informazione
L’Osservatorio AGCOM 2025 rivela che per la prima volta la TV non è più il mezzo d’informazione leader: lo è per il 46,5% degli italiani, in calo rispetto al 67,4% del 2019. Gli italiani si affidano sempre più a internet, ma i telegiornali rimangono un elemento trainante in termini di audience televisiva.
Nel 2024, gli ascolti televisivi hanno registrato un lieve aumento: +0,4% in prime time e +0,03% su base giornaliera, stimolati in parte da eventi come Europei e Olimpiadi. Rai è rimasta leader in prime time con 7,3 milioni di spettatori (share del 38,2%, +0,7%), mentre Mediaset ha registrato 6,8 milioni (35,6% di share, in calo del 2,4%).
Sul versante tecnologico, la diffusione delle TV connesse (CTV cioè un televisore connesso a Internet, capace di integrare broadcast tradizionale e streaming on-demand) è in forte crescita: alla fine del 2024, ne sono presenti in Italia 20,7 milioni, +2,4 milioni rispetto all’anno precedente, con 34 milioni di individui che le utilizzano mensilmente e un aumento del 41% nel tempo di visione on-demand.

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