Edmond de Rothschild AM: Parigi, 3 scenari di un déjà vu

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La divisione politica all’interno dell’Assemblea Nazionale non lasciava dubbi sul destino del governo Bayrou e, anche se quest’ultimo ha voluto crederci fino alla fine, il voto di fiducia si è concluso con un fallimento, accelerando le sue dimissioni e la caduta del suo governo. La Francia si ritrova così nella stessa situazione dell’anno scorso dopo le dimissioni di Barnier e si appresta ad avere il suo quinto primo ministro in tre anni, segno della significativa instabilità politica che caratterizza il Paese dall’inizio del secondo mandato di E. Macron. Di fronte a una tripartizione senza precedenti del panorama politico sotto la Quinta Repubblica, il presidente ha ora tre opzioni davanti a sé, che presentiamo qui in ordine di probabilità decrescente secondo noi:

La nomina di un nuovo primo ministro: questa è l’opzione preferita in questa fase, così come i mercati finanziari e gli stretti collaboratori del presidente. Pur citando G. Darmanin, S. Lecornu o C. Vautrin come potenziali candidati, queste ipotesi hanno perso credibilità perché l’equazione politica non può più essere risolta senza il Partito Socialista a causa dell’intransigenza del Rassemblement National. Pertanto, E. Macron ha tutti i motivi per rivolgersi alla sinistra dell’Assemblea, sia nominando una figura del partito come O. Faure, sia una personalità che possa ottenere l’approvazione del PS, come il ministro dell’Economia E. Lombard o l’ex ministro J.L Borloo. In questo caso, il nuovo Primo Ministro avrebbe margini altrettanto ristretti quanto F. Bayrou, limitando in modo significativo la sua capacità di votare un testo ambizioso sulla riduzione del deficit pubblico. La difficoltà di trovare un compromesso nell’attuale configurazione dell’Assemblea Nazionale dovrebbe portare a un rinnovo sostanziale del bilancio precedente, con un conseguente miglioramento solo contenuto del deficit pubblico. Ciononostante, gli investitori potrebbero scegliere di vedere il bicchiere mezzo pieno e applaudire l’assenza di ulteriori slittamenti nei saldi di bilancio, che si tradurrebbero in una stabilizzazione dello spread OAT-Bund e in un temporaneo aumento dell’attrattiva dei titoli francesi con il dissiparsi dell’incertezza politica. Tuttavia, la Francia non farebbe altro che rinviare ancora una volta la delicata questione delle finanze pubbliche, che tornerà alla ribalta il prossimo anno, in attesa di un vero chiarimento entro il 2027 al più tardi.

Scioglimento dell’Assemblea Nazionale: sebbene questa opzione non fosse disponibile dopo la caduta del governo Barnier alla fine del 2024, ora rientra tra le opzioni a disposizione del presidente. Senza avere la maggioranza, la probabilità che questo scenario si verifichi non è trascurabile, date le profonde divisioni politiche all’interno della classe politica, ora aggravate da un movimento di protesta sociale iniziato il 10 settembre. In caso di forte mobilitazione, E. Macron potrebbe scegliere di restituire il potere ai cittadini indcendo nuove elezioni, nella speranza che questa volta emerga una maggioranza più chiara. Questo scenario è certamente quello auspicato dal Rassemblement National, che minaccia di censurare qualsiasi nuovo primo ministro indipendentemente dal suo orientamento politico. M. Le Pen vede infatti nell’attuale situazione politica un’opportunità per accedere al potere. Da un lato, i sondaggi la collocano in una posizione molto vantaggiosa rispetto a un Fronte Popolare Nuovo frammentato, che probabilmente non presenterà candidati comuni in tutti i collegi elettorali, tanto che risultati elevati al primo turno potrebbero tradursi in proiezioni di seggi più ampie rispetto alle elezioni legislative del 2024.

D’altra parte, la spada di Damocle giudiziaria pende su M. Le Pen, con il rischio di un lungo periodo di ineleggibilità se la sua condanna sarà confermata in appello (nuovo processo a partire da gennaio 2026), il che potrebbe costringerla a fare tutto il possibile per garantire che il prossimo Primo Ministro provenga dal suo schieramento, al fine di eliminare la pena di ineleggibilità per i funzionari eletti condannati, aprendo così la strada alla sua candidatura alle presidenziali del 2027. Tuttavia, nonostante le ambizioni del RN, i sondaggi continuano a suggerire che i progressi del partito non sarebbero sufficienti a garantirgli la maggioranza assoluta, anche considerando un’alleanza con I Repubblicani, il che suggerisce che non sarebbe in grado di attuare un programma di spesa elevata. Anche se uno scioglimento costituirebbe probabilmente una spiacevole sorpresa per i mercati finanziari, portando forse a un significativo ampliamento dello spread francese e a una sottoperformance del CAC 40 rispetto ai suoi omologhi europei, l’impatto dovrebbe rimanere contenuto. Inoltre, stimiamo che il contagio agli altri tassi europei e all’euro rimarrebbe generalmente limitato.

Dimissioni presidenziali: questa eventualità è molto improbabile in questa fase, ma non può essere del tutto esclusa, soprattutto perché è una richiesta avanzata da una parte del movimento di protesta del 10 settembre. È anche l’obiettivo di France Insoumise, che rifiuta qualsiasi compromesso, anche se venisse nominato un primo ministro di sinistra, per costringere E. Macron a riconoscere il blocco istituzionale e a dimettersi prima della fine del suo mandato. Questo scenario sarebbe sicuramente il meno favorevole per gli asset francesi, poiché il rischio di una vittoria degli estremisti sarebbe significativo e potrebbe portare a un marcato ampliamento dello spread francese, che raggiungerebbe probabilmente nuovi massimi. In questo scenario, il rischio di contagio con il deprezzamento dell’euro e le tensioni sul mercato del credito sarebbero palpabili. Infatti, il timore degli investitori non sarebbe quello di sforzi insufficienti per ridurre il deficit di bilancio, ma piuttosto che esso possa deteriorarsi nuovamente, poiché i programmi di questi partiti politici prevedono un aumento significativo della spesa pubblica senza reali misure di risparmio, per non parlare della loro volontà di impegnarsi in uno scontro con Bruxelles. Tuttavia, la probabilità delle dimissioni di E. Macron rimane molto bassa, poiché egli stesso ha recentemente indicato che porterà a termine il suo mandato.

Qualunque sia l’esito dell’attuale crisi politica, la probabilità di una riforma significativa delle finanze pubbliche rimarrà bassa, tanto che gli stessi mercati finanziari sembrano rassegnati e potrebbero accontentarsi di uno scenario in cui il deficit di bilancio non peggiori ulteriormente. Tuttavia, pur non essendo catastrofica, la situazione è preoccupante, poiché la Francia si discosta dal resto dell’Eurozona con il disavanzo di bilancio più elevato (-5,8% nel 2024; -5,4% previsto nel 2025 contro una media dell’Eurozona intorno al -3%) e un debito pubblico in crescita (113% nel 2024 e 117% previsto nel 2025). Questo deterioramento dei saldi di bilancio è dovuto principalmente al calo delle entrate fiscali dovuto alle riduzioni fiscali concesse alle famiglie (-1,6 punti dal 2017) e alle imprese (-0,8 punti), che non è stato compensato da una riduzione della spesa pubblica (tornata ai livelli del 2017 dopo il picco pandemico).

Sebbene molti partiti concordino sulla necessità di ridurre la spesa pubblica, che attualmente rappresenta il 57% del PIL (rispetto alla media del 50% dell’Eurozona), rimane difficile trovare una maggioranza a favore di misure che porterebbero il disavanzo primario al di sotto del livello di stabilizzazione del debito. Infatti, scomponendo questo surplus di spesa rispetto al resto del continente (7 ppt), la maggior parte deriva dal sistema pensionistico (2,2 ppt) e dall’assistenza sanitaria (1,5 ppt), due temi politicamente esplosivi che i partiti cercano di evitare, spingendoli a proporre solo aggiustamenti marginali del deficit. È quindi logico che lo status quo persista, a meno che non si intensifichi la pressione da parte della Commissione europea e, in particolare, dei mercati finanziari, nel qual caso sarà necessario compiere scelte più impegnative, probabilmente dopo le nuove elezioni legislative o presidenziali.