Gli italiani e il risparmio, scatta l’era del “deconsumismo”. Il Rapporto Coop 2025
Rapporto Coop 2025, basato sulle fonti attuali (ANSA, Rapporto Coop, CSQA).
Il contesto: inflazione, potere d’acquisto e precarietà
Il Rapporto Coop 2025 descrive un’Italia dove il potere d’acquisto è sotto pressione. Le famiglie italiane vedono i costi obbligati – abitazione, utenze, trasporti, cibo – fagocitare gran parte del bilancio, lasciando poca libertà agli altri consumi.
In questo quadro, il risparmio diventa non solo un mezzo di gestione prudente delle risorse ma anche un elemento strutturale dei comportamenti di consumo: il 42% degli italiani dichiara che il risparmio è il driver principale nei suoi acquisti.
Il deconsumismo: cosa significa
Con “deconsumismo” s’intende una trasformazione non soltanto nei volumi di spesa ma nei modelli di consumo. Le caratteristiche principali sono l’acquisto solo del necessario: riduzione della spesa legata al lusso o al possesso fine a sé stesso. Uso del second hand, del vintage, riparazione di beni piuttosto che acquistarne di nuovi. Scelte di consumo utilitarie: anche quando si spende, l’attenzione è focalizzata sull’utilità piuttosto che sul desiderio di status o gratificazione.

Il cibo al centro: salute, semplicità, tradizione
Nonostante la tendenza al risparmio, il cibo resiste come elemento centrale nei consumi degli italiani, ma cambia la natura del rapporto con esso. Si privilegiano cibi freschi, poco processati, biologici, con pochi additivi. Cresce la consapevolezza del cibo come “alleato della salute”. Diete con più verdura, frutta, pesce; calo dell’uso di carni rosse, salumi, dolci, bevande alcoliche. Tendenza a cucinare in casa (home‑dining) e a lunghi tempi di preparazione, sacrificando (anche se non completamente) il fuori casa o le soluzioni rapide.
Implicazioni economico‑finanziarie
Queste tendenze hanno diverse implicazioni di rilievo.
Riduzione della domanda per determinati beni. Prodotti superflui o di gratificazione (elettronica di consumo non essenziale, modelli di lusso, beni di status) rischiano di soffrire in quanto la spesa si orienta sempre più verso l’essenziale. Il calo di 2 milioni di unità negli acquisti di smartphone rispetto al 2022 ne è un esempio.
Pressione sui margini delle imprese. La ricerca di offerte, la preferenza per marchi del distributore o per sconti/promozioni saranno variabili vincenti. Le imprese che non riescono a offrire qualità a un prezzo accessibile possono perdere competitività.
Spostamento del valore: dalla quantità alla qualità. Le imprese che puntano su freschezza, sostenibilità, biologico, trasparenza nella filiera, benessere (anche alimentare) possono trovare opportunità. Questo può innescare segmenti di valore superiori (premium salutista, eco‑friendly) ma con una platea più selezionata.
Effetti sul retail e sulla distribuzione. Crescita dei supermercati vs discount, preferenza per prodotti con marchio della distribuzione, per promozioni, per offerte. Anche la geografia del punto vendita/importo speso tenderà a cambiare in base alla convenienza, alla vicinanza, all’offerta.
Comportamenti finanziari prudenziali. Con più spesa obbligata e meno margine per il superfluo, potrebbe espandersi l’uso del risparmio, delle strategie anti‑shock (es. emergenze sanitarie, energetiche), del ricorso a mercati dell’usato, della manutenzione/durabilità. Questo può avere ritorni in termini di sostenibilità finanziaria delle famiglie, ma anche rischi se le condizioni economiche peggiorano (debito, riduzione dei consumi anche su beni essenziali).
Le problematiche
Polarizzazione sociale: non tutti possono permettersi cibo salutare, biologico, prodotti ecologici. Le famiglie con reddito più basso sono quelle che rischiano di rinunciare alla qualità per risparmiare. Ciò può portare a disuguaglianze alimentari e di salute.
Deflazione della domanda su segmento lusso o premium: settori come auto di lusso, tecnologia top di gamma, orologi di prestigio, moda di fascia alta potrebbero accusare il colpo se la spesa si orienta verso l’essenziale.
Sostenibilità delle imprese small/medie: molte imprese non hanno margini per offrire prodotti “salutisti,” biologici o con filiera sostenibile se la scala produttiva è limitata, o se i costi degli input (energia, materie prime) sono alti.
Effetti sul PIL e sulla crescita economica: se il deconsumismo si estende, la componente dei consumi privati del PIL può risentirne; inoltre, minor turnover dei beni (meno acquisti, più riparazioni) riduce il ciclo economico tradizionale.
Opportunità per imprese, policy e investitori
Innovazione nei prodotti: sviluppo di linee alimentari salutari, biologiche, meno processate. Certificazioni, filiera trasparente, packaging sostenibile.
Modelli di business circolari: riparazione, ricondizionamento, second hand. Sharing, leasing, riparabilità come criteri competitivi.
Focus sull’esperienza piuttosto che sul possesso: turismo locale, cultura, esperienze, valore aggiunto non legato al bene materiale.
Politiche di sostegno e regolazione: incentivi per produzioni sostenibili, biologiche; regolamentazione su etichette, trasparenza; sostegno fiscale per famiglie a basso reddito; politiche per assorbire l’inflazione che erode i redditi reali.
Retail e distribuzione adeguati: il marchio del distributore, le promozioni, punti vendita vicini, assortimenti ben studiati per qualità/prezzo.
Il podcast pubblicato su questo tema da Michela Nana sull’ANSA e il Rapporto Coop 2025 delineano con precisione un’Italia in trasformazione: una società che non può più permettersi il consumismo acritico, che rimettere in discussione le priorità di spesa, che cerca valore oltre al possesso. Si tratta di una sfida economica ma anche culturale. Dal punto di vista macroeconomico‑finanziario, se il deconsumismo può moderare alcuni settori (lusso, beni di consumo superflui, elettronica non essenziale), può al contempo creare valore laddove la qualità, la salubrità, la sostenibilità e l’esperienza autentica diventano elementi distintivi.

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