J. SAFRA SARASIN: a Wall St c’è una bolla?
Nelle ultime settimane il segmento alto del mercato azionario ha nuovamente trainato la performance delle azioni globali e statunitensi. Guidato dai “Magnifici 7”, il Nasdaq è salito del 50% dai minimi di inizio aprile, portando i guadagni da inizio anno al 19%. Questo rally è stato alimentato non solo dal cambiamento di rotta dell’amministrazione statunitense in materia di dazi, ma anche dall’aumento degli annunci di spese in conto capitale (capex) nelle ultime settimane e dall’indebolimento del dollaro nella prima metà dell’anno.
Una domanda che circola è se il mercato azionario statunitense stia entrando in una fase di bolla speculativa. Poiché il termine “bolla” non è chiaramente definito, confrontiamo l’attuale comportamento del mercato con l’esuberanza delle dot-com della fine degli anni ’90 e dei primi anni 2000. A nostro avviso, esistono notevoli parallelismi ma anche differenze fondamentali, che rendono il mercato vulnerabile ma meno precario rispetto a quel periodo. Per fornire un quadro completo, è utile confrontare il mercato odierno con quello di allora attraverso vari parametri di valutazione.
In primo luogo, il rapporto prezzo/utili (PE) del Nasdaq Composite rimane ben al di sotto dei livelli record dell’era delle dot-com. Nel 2000 il PE è salito oltre 70 volte, mentre oggi è circa la metà di quel livello. Ciò suggerisce che il mercato non sia eccessivamente tirato in termini di valutazioni. Tuttavia, durante la bolla delle dot-com, il Nasdaq includeva molte aziende tecnologiche giovani e non redditizie, che naturalmente avevano rapporti PE gonfiati a causa dei bassi utili. Il mercato odierno è diverso: le Magnifiche 7, tutte componenti del Nasdaq, rappresentano oltre il 20% degli utili dell’S&P 500. Dall’inizio degli anni 2000, gli utili del Nasdaq sono aumentati di circa 30 volte, mentre quelli dell’S&P 500 sono aumentati di circa 5 volte. Pertanto, per tracciare un parallelo con l’inizio degli anni 2000 è più appropriato utilizzare l’S&P 500, che era un indice maturo e lo è ancora oggi.
In questo caso, le valutazioni dipingono un quadro più preoccupante. Il rapporto PE dell’S&P 500, basato sugli utili previsti a 12 mesi, si attesta a 23 volte, eguagliando il massimo del ciclo 2021 e avvicinandosi al picco di 25 volte registrato durante il boom delle dot-com. Ciò suggerisce che le valutazioni attuali potrebbero trovarsi in una zona pericolosa, potenzialmente matura per una correzione.
Una condizione fondamentale del boom delle dot-com, spesso trascurata, era l’economia eccezionalmente forte dell’epoca. La crescita annualizzata del PIL superava il 4%, consentendo ai mercati di abbracciare pienamente la narrativa ottimistica della tecnologia e di rivalutarsi senza interruzioni. Il premio per il rischio azionario (ERP), calcolato come il rendimento degli utili futuri a 12 mesi meno il rendimento dei Treasury a 10 anni, è sceso profondamente in territorio negativo. Gli investitori hanno accettato un rendimento degli utili inferiore al tasso privo di rischio, spinti dalle aspettative di un forte aumento degli utili nei successivi anni. Come dimostra la storia, questo ottimismo era eccessivo.
Oggi, per la prima volta dall’inizio degli anni 2000, l’ERP dell’S&P 500 è tornato a zero, sostenuto da un solido contesto macroeconomico. Sebbene la crescita del PIL sia inferiore rispetto all’era delle dot-com, rimane robusta, attestandosi intorno al 3%
Per giustificare gli attuali livelli di valutazione, la crescita degli utili statunitensi dovrebbe accelerare in modo significativo nei prossimi anni. Tuttavia, le correlazioni storiche con la crescita del PIL suggeriscono che ciò sia improbabile. Negli ultimi 25 anni la correlazione tra la crescita degli utili statunitensi e la crescita del PIL è rimasta stabile, nonostante l’aumento dei margini di profitto netto. Con una crescita del PIL statunitense che dovrebbe scendere al di sotto del 2% nel 2026 a causa del calo del sostegno fiscale e del rallentamento dei consumi, un’accelerazione significativa della crescita dell’utile per azione (EPS) sembra improbabile.
Storicamente l’ERP è stato un indicatore affidabile dei rendimenti di mercato a medio termine. Nel 2000 ha previsto con precisione un rendimento medio annualizzato dell’S&P 500 di circa lo 0% nel decennio successivo, con l’indice di rendimento totale dell’S&P 500 che è rimasto invariato dal 2000 al 2010. Con l’ERP attuale dello 0%, si prevede un rendimento annualizzato di appena il 4% nei prossimi 10 anni. Il rapporto PE di Shiller suggerisce un rendimento annualizzato ancora più basso, pari al 2% nello stesso periodo. È interessante notare che il PE di Shiller si è rivelato accurato anche negli anni 2000, prevedendo un mercato piatto.
Negli ultimi 40 anni si è verificato solo due volte un significativo disaccoppiamento dei rendimenti decennali dalle proiezioni del PE di Shiller. In primo luogo, negli anni ’90 che hanno preceduto la bolla dot-com, i rendimenti annualizzati hanno raggiunto il 20% tra il 1990 e il 2000, rispetto a un valore implicito di circa il 15%. In secondo luogo, nel 2015 il PE di Shiller implicava un rendimento annualizzato di circa il 10%, mentre il mercato statunitense ha registrato un rendimento del 14%. Il disaccoppiamento degli anni ’90 alla fine si è corretto, e rimane incerto se il mercato azionario odierno seguirà un percorso simile o si rivelerà diverso.
In conclusione, una bolla può essere determinata solo con il senno di poi, ma è possibile tracciare dei paralleli con le bolle precedenti. Le valutazioni attuali suggeriscono chiaramente che il mercato si sta muovendo verso una bolla, ma ciò non significa necessariamente che questa scoppierà immediatamente. Nel 2000 il forte contesto macroeconomico ha permesso all’esuberanza di crescere per diversi anni: la fine del ciclo ha coinciso con il crollo del mercato. Le implicazioni a lungo termine appaiono più chiare. Alle attuali valutazioni, le azioni statunitensi faranno fatica a generare rendimenti superiori al 5% annuo nel prossimo decennio.

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