Rallentamento, disindustrializzazione, difficoltà per i giovani. L’Italia reale non va tanto bene

Trendiest Media Agenzia di stampa -

L’Italia reale è lontana da molte narrazioni ufficiali: rallentamento, disindustrializzazione, difficoltà per i giovani. Prendiamo spunto dall’intervista rilasciata ad Affaritaliani dal senatore Antonio Misiani (nella foto) responsabile economico del Partito Democratico.

“L’Italia reale è molto diversa da quella raccontata da Giorgia Meloni. Il Paese si sta deindustrializzando, cresce alla metà della media europea e, senza il PNRR, sarebbe già in recessione. L’occupazione aumenta, ma solo tra gli over 50, mentre per i giovani i posti di lavoro restano fermi o diminuiscono” afferma il senatore Antonio Misiani.

Anche altre testate italiane hanno affrontato l’argomento.

Rallentamento e crescita sotto la media europea

Sul sito VareseNews si parla di un’Italia che nel decennio ha registrato una crescita del PIL di appena 2,7 %, contro una media europea del 16,9 %. In altre parole, l’Italia ha accumulato un ritardo strutturale rispetto al resto d’Europa.

Un’analisi della Banca d’Italia, rilanciata da Neodemos sostiene che la partecipazione al mercato del lavoro (giovani, donne, anziani) è «sensibilmente inferiore alla media europea» e che senza un aumento dell’offerta di lavoro l’economia italiana rischia una contrazione significativa.

Sul fronte industriale, l’articolo di Key4Biz segnala un calo della produzione manifatturiera di circa 3,4 % in un biennio recente, con una classica tendenza alla deindustrializzazione.

Questi elementi rafforzano l’idea che l’Italia sta perdendo uno slancio competitivo, non solo in termini di crescita nominale, ma anche rispetto al modello europeo più dinamico.

Ricerca, innovazione e industria

Una questione centrale dietro la “retorica del rilancio” riguarda il rapporto fra ricerca pubblica e capacità industriale di assorbire innovazione. Uno studio riportato da arXiv segnala che in Italia molti risultati della ricerca non sono adeguatamente trasferiti alle imprese, perché non esistono interlocutori industriali capaci di sfruttarli o perché manca una politica industriale che faccia da ponte. Questo gap fra “produrre conoscenza” e “raggiungere il mercato” è spesso trascurato nei discorsi ufficiali, ma interviene come freno strutturale alla crescita a medio-lungo termine.

Il mercato del lavoro “invecchia”

Misiani parla di aumenti occupazionali concentrati sugli over 50; alcune indagini confermano che la dinamica occupazionale in Italia è più favorevole alle fasce più mature. Pagella Politica mostra che negli ultimi cinque anni l’occupazione in Italia è cresciuta di +5,5 % nella fascia 15-64 anni, leggermente sopra la media europea, ma rimane il tasso più basso dell’UE nella fascia 20-64. Inoltre, la crescita tra i giovani (15-24 anni) è stata di +19 %, un dato positivo ma molto più contenuto rispetto ad altri paesi come Spagna (+48 %) e Francia (+24 %). Un articolo su  Micromega parla di un’occupazione “senza qualità”: in Italia molti lavori sono caratterizzati da bassa stabilità, retribuzioni modeste e condizioni flessibili, fattori che incidono negativamente sulla percezione del lavoro, soprattutto per i giovani.

Questi dati suggeriscono che, anche quando si creano posti di lavoro, non sempre valgono come opportunità reali per le nuove generazioni.

Giovani, Neet e fuga delle competenze

Un punto che compone la critica politica di Misiani è che i giovani restano esclusi dalla dinamica positiva dell’occupazione. Secondo Servicematica, l’Italia ha circa 1,4 milioni di Neet (giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano), pari al 15,2 % della popolazione giovanile, molto al di sopra della media europea (11 %). Adnkronos Demografica evidenzia che l’Italia è agli ultimi posti nell’UE per l’occupazione tra neolaureati e neodiplomati: solo il 67,5 % di loro riesce a inserirsi nel mercato del lavoro, contro la media europea dell’83,5 %. Questo deficit occupazionale giovanile contribuisce all’emigrazione delle competenze: tanti giovani qualificati decidono di andare all’estero, riducendo il capitale umano interno (la “fuga dei cervelli”).

Durata della vita lavorativa e invecchiamento attivo

Un altro dato che circoscrive la finestra del lavoro in Italia: la durata media della vita lavorativa è di circa 32,8 anni, una delle più basse in Europa, secondo Sky TG24. Peggio fa solo la Romania. In confronto, Paesi come Olanda, Svezia, Danimarca raggiungono durate superiori a 40 anni.

In sintesi, non basta dire “lavoro in crescita”: bisogna guardare quali lavori, per quanto tempo, e per chi.