COP30 e l’implementazione multi-livello della transizione energetica. L’Italia deve aggiornare le sue NDC

-

Il vertice di Belém rilancia l’implementazione a livello nazionale, regionale e urbano di politiche climatiche integrate

Al vertice COP30, ospitato in Brasile si è delineata con chiarezza una nuova matrice strategica dell’azione climatica: non più solo l’annuncio di target, ma l’implementazione declinata su tre livelli come cuore della transizione verso sistemi energetici, economici e territoriali più sostenibili.
Innanzitutto, a livello nazionale, è richiesto l’aggiornamento delle cosiddette NDC (Nationally Determined Contributions), ovvero gli impegni che ciascun Paese assume nell’ambito dell’Accordo di Parigi, e la conseguente armonizzazione tra obiettivi climatici, politiche industriali e strumenti fiscali e regolatori.
In secondo luogo, il livello subnazionale (regioni, città, municipalità) assume un ruolo centrale: sono proprio gli enti locali e le autorità sub-statali a doversi fare carico dell’attuazione concreta dei cambiamenti, dall’edilizia alla climatizzazione, dai trasporti all’housing, fino alla resilienza urbana e alla rigenerazione territoriale.
Infine, il livello settoriale, vale a dire i singoli ambiti economici (edilizia, industria, servizi) che deve tradurre i criteri generali in misure concrete: regolamenti edilizi, incentivi fiscali, piani urbanistici.

Le opinioni dei principali quotidiani globali

La svolta di COP30 e l’accento sull’implementazione sono stati accolti con segnali positivi, ma anche con un certo scetticismo. Il britannico The Guardian ha sottolineato che «il tempo degli annunci è finito: ora serve una roadmap di attuazione» e ha evidenziato come, al momento, l’azione sui precursori (finanza, governance, normative locali) sia ancora in ritardo. 
Il quotidiano francese Le Monde ha messo l’accento sul binomio «sicurezza energetica + clima», evidenziando come l’appoggio crescente all’energia nucleare (con l’impegno a triplicare la capacità nucleare globale entro il 2050) rifletta una svolta nei paradigmi tradizionalmente legati alle rinnovabili. 
Negli Stati Uniti, il quotidiano finanziario The Wall Street Journal ha evidenziato la distanza tra dichiarazioni e realtà, esprimendo preoccupazione per l’assenza di meccanismi finanziari e regolatori pronti a sostenere l’enfasi sull’implementazione.
In Asia, il giapponese Nikkei Asian Review ha analizzato l’impegno globale sull’energia nucleare come opportunità geopolitica e industriale, osservando che Paesi come il Giappone e la Corea del Sud stanno già collegando rinnovamento nucleare, digitalizzazione e reindustrializzazione.

L’Italia, l’edilizia e la transizione su tre livelli

Per l’Italia, la triplice dimensione proposta da COP30 assume una rilevanza strategica.
A livello nazionale, l’Italia deve aggiornare le sue NDC e allineare politiche industriali (tra cui industria dell’edilizia, materiali da costruzione, energie rinnovabili e possibili reintroduzioni nucleari) con strumenti fiscali coerenti. Sul fronte nucleare, ad esempio, il governo ha dichiarato di voler presentare entro il 2027 un piano per reintrodurre energia atomica, in particolare attraverso piccoli reattori modulari (SMR) e reattori avanzati. 
A livello subnazionale e locale, il settore dell’edilizia è un banco di prova. Le città italiane e le regioni devono integrare nei piani urbanistici e negli strumenti regolatori le esigenze di condizionamento, isolamento, riduzione dei consumi e adattamento climatico. Tuttavia, come segnala l’OCSE nel suo outlook 2024, l’investimento nel comparto edilizio italiano è rallentato anche per il venir meno degli incentivi edilizi, con rischi che questo ritardo aggravi la sfida della decarbonizzazione del parco immobiliare. 
A livello settoriale, l’edilizia italiana sta vivendo una transizione obbligata: dalla “costruzione” pura alla “rigenerazione” e “adattamento climatico”. L’efficienza energetica degli edifici, la diffusione di materiali ecocompatibili, la progettazione per eventi climatici estremi e la riduzione della carbon footprint nel ciclo di vita delle costruzioni diventano pilastri indispensabili. Il problema è che la filiera (imprese, architetti, artigiani) deve essere pronta: servono competenze, strumenti finanziari, tempi rapidi.
In questo contesto, l’Italia deve evitare che la “governance multilivello” rimanga un diagramma teorico: regioni, comuni e imprese dell’edilizia devono mettersi in rete, con piani territoriali che traducono gli orientamenti nazionali in azioni concrete come la trasformazione di quartieri, riqualificazione di condomini, efficientamento di edifici pubblici entro il 2030.

Il vertice COP30 conferma che l’era dei grandi annunci lascia spazio all’era dell’implementazione. I tre livelli – nazionale, subnazionale e settoriale – sono interconnessi e nessuno può operare isolatamente. Le opinioni internazionali sembrano orientate in modo favorevole, ma sottolineano che ciò che farà la differenza sarà il livello dei modi, dei tempi e della coordinazione.
Per l’Italia, il comparto dell’edilizia è al contempo un’opportunità e un test: se sarà capace di cogliere il passaggio da “bonus edilizi” a “edilizia clima-resiliente”, potrà contribuire in modo significativo all’adempimento delle NDC e all’obiettivo di riduzione delle emissioni. Se invece resterà frammentato, l’Italia rischia di subire lo slittamento tra obiettivo e realtà. In ogni caso, il messaggio è chiaro: non si tratta più solo di cosa fare, ma di come farlo, quando e con chi.