Il mercato del food in Italia: cosa cambia con la manovra e quali effetti avrà sul settore

Massimo Pozzi Chiesa -

La manovra economica approvata dal Governo rimette il comparto agroalimentare al centro del dibattito. Il food, che rappresenta una delle filiere più strategiche del Paese con oltre 580 miliardi di euro di valore complessivo e il 15% del PIL (contando anche il sistema horeca, distribuzione e export) si trova ora a fare i conti con una combinazione di misure che, tra opportunità e criticità, ridisegnano il perimetro operativo delle imprese.

La domanda chiave è: questa manovra favorisce davvero il settore o ne limita la competitività?

I vantaggi: investimenti, export e filiera agricola

Rafforzamento del Made in Italy e dell’export
La manovra conferma i fondi destinati alla promozione internazionale delle filiere agroalimentari, ampliando i contributi per consorzi di tutela e imprese esportatrici. Con un export record di oltre 65 miliardi nel 2024, il settore guarda con interesse al consolidamento di questi strumenti, fondamentali per difendere i prodotti italiani nei mercati globali, soprattutto dopo il rallentamento della domanda europea.
Sgravi selettivi per filiere strategiche
Sono stati confermati incentivi a supporto dell’agricoltura di precisione, dell’innovazione tecnologica nelle imprese agricole e delle misure per la sostenibilità nelle filiere zootecniche. Per molte PMI, questi fondi rappresentano un supporto concreto per avviare processi di digitalizzazione altrimenti difficili da sostenere.
Tagli al cuneo e proroghe occupazionali
La proroga del taglio al cuneo fiscale si traduce in un alleggerimento dei costi del lavoro anche per horeca, logistica e trasformazione alimentare, comparti ad alta intensità di manodopera. Questo rende più sostenibile mantenere l’occupazione in un momento di consumi stagnanti.

Gli svantaggi: costi fissi, IVA, inflazione e margini ridotti

Nessuna riduzione dell’IVA sui beni alimentari
Molti operatori speravano in un taglio dell’IVA su prodotti essenziali, come era stato ipotizzato nei mesi scorsi. La manovra, invece, non interviene. In un contesto di inflazione sotto controllo, ma ancora alta nel grocery e nella ristorazione, il risultato è che le famiglie continuano a pagare di più e le imprese faticano a trasferire i costi senza erodere la domanda.
Rialzo dei costi energetici senza compensazioni
La fine di alcuni crediti d’imposta legati ai consumi energetici pesa soprattutto su grande distribuzione, imprese della trasformazione, ristorazione, categorie che hanno già margini ridotti. Anche per panifici, pastifici, industrie di conservazione e realtà refrigerate, l’impatto è sensibile.
Stretta su alcuni bonus alle imprese
La razionalizzazione delle agevolazioni rende più selettivo l’accesso ai fondi per investimenti. Le PMI del food, spesso sottocapitalizzate, rischiano di trovarsi tagliate fuori rispetto ai grandi gruppi che hanno più facilità nel presentare progetti complessi e cofinanziati.
Consumatori più cauti
Il rallentamento del potere d’acquisto porta a riduzione degli scontrini nella ristorazione, crescita del private label nella GDO, calo dei volumi retail nonostante fatturati nominali apparentemente stabili.

La manovra non introduce misure dirette per sostenere i consumi alimentari né offre continuità alle filiere agricole e all’export: soprattutto non interviene sulle due criticità strutturali del settore: alti costi di produzione, che mettono in difficoltà le PMI e debolezza dei consumi interni, aggravata da inflazione e salari stagnanti. Per molte imprese del food, il rischio non è una crisi immediata, ma una lenta erosione dei margini.

Il settore rimane vitale e competitivo, ma avrebbe bisogno di una strategia più ambiziosa: una politica industriale alimentare capace di sostenere innovazione, crescita dimensionale, export e accessibilità per i consumatori.