Pensioni in Italia: nuovi segnali ma nessuna svolta radicale

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La fase finale della manovra finanziaria

Nel mese di novembre 2025, il tema delle pensioni è tornato al centro del dibattito pubblico in Italia, grazie a una serie di proposte e emendamenti inseriti nella fase finale della manovra finanziaria. Pur senza modifiche epocali, le novità segnalano un tentativo di bilanciamento tra sostenibilità del sistema e tutela delle fasce più fragili.

Un primo capitolo riguarda la proroga o la riformulazione di strumenti già in uso. Partiti come Forza Italia e Lega hanno infatti rilanciato l’ipotesi di prolungare misure come Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) e Opzione Donna, strumenti di pensionamento anticipato oggi in scadenza. L’emendamento presentato il 18 novembre ne chiede la proroga per tutto il 2025.

Al contempo, sono stati confermati alcuni interventi sulle fasce più basse. Secondo quanto previsto dalla legge di bilancio, le pensioni minime aumenteranno del 2,2% nel 2025, con una maggiorazione di circa 8 euro mensili per gli over 70 in condizioni di disagio economico. Una misura comunque contenuta, che mostra come la leva economica sia limitata nei margini.

Sul fronte dei requisiti di accesso all’età pensionabile, la manovra 2026 (che comunque fa da sfondo alle trattative in corso) prevede un lieve innalzamento a partire dal 2027: un mese in più per la pensione di vecchiaia e due mesi in più nel 2028. Le categorie usuranti saranno escluse dall’aumento.

La forte pressione arriva dalla necessità di tenere sotto controllo la spesa previdenziale in un contesto di conti pubblici in tensione: l’adeguamento automatico dei requisiti alla speranza di vita genera risparmi stimati in miliardi.

Restano diversi nodi aperti

Tuttavia, restano diversi nodi aperti: la proroga di Quota 103 e Opzione Donna deve ancora trovare coperture e un testo definitivo. Ne discute la maggioranza, ma, secondo EduNews24, la compatibilità con vincoli europei rimane da verificare.  Inoltre, l’aumento dell’età pensionabile, pur modesto, apre interrogativi sulle prospettive di chi oggi ha meno di 60 anni e rischia di fare i conti con una realtà previdenziale più rigida.

Le misure introdotte appaiono dunque come aggiustamenti temporanei più che come una riforma strutturale del sistema. In un contesto in cui l’invecchiamento demografico e il mutato mercato del lavoro trasformano le regole del gioco, molte imprese, lavoratori e sindacati chiedono una visione di lungo termine.

In conclusione, l’Italia si muove con cautela sul fronte pensioni: le novità di novembre rappresentano un segnale, non una svolta. Il vero banco di prova sarà nei prossimi anni: se queste misure serviranno solo a “tampone”, o se apriranno davvero la strada a un sistema previdenziale più moderno, sostenibile e equo.