Per anni abbiamo creduto che il dramma ambientale causato dai PFAS fosse un problema circoscritto: un’eccezione, un incidente territoriale. Il caso Miteni in Veneto – con i suoi strascichi giudiziari, le falde compromesse e i valori ematici fuori scala in migliaia di cittadini – ha dimostrato invece che ci troviamo davanti a un inquinamento industriale di portata nazionale. Un’emergenza silenziosa, persistente e ancora troppo poco compresa dall’opinione pubblica.
Oggi, a distanza di anni da quella vicenda, un’intera regione come la Lombardia rimane sostanzialmente inesplorata dal punto di vista delle contaminazioni da PFAS. Eppure parliamo del cuore industriale del Paese, di aree storicamente caratterizzate da produzioni chimiche, galvaniche, tessili, farmaceutiche e metallurgiche: tutti settori che, a vario titolo, hanno utilizzato composti poli- e perfluoroalchilici.
È un déjà-vu per chi, come me, negli anni passati ha affrontato la lunga stagione dell’amianto, dell’Eternit e delle verità negate (Comitato Nazionale Amianto Eppur si muore). Anche oggi ritroviamo lo stesso schema: inquinamento diffuso, ritardi istituzionali, indagini epidemiologiche insufficienti, cittadini lasciati soli a fronte di un rischio sanitario concreto.
PFAS: contaminanti perenni, effetti reali
I PFAS vengono definiti “forever chemicals” perché non si degradano. Entrano nelle falde, contaminano gli acquedotti, si accumulano nei tessuti umani. Gli studi scientifici – ormai numerosi e coerenti – indicano correlazioni con alterazioni ormonali, riduzione della fertilità, disfunzioni tiroidee, problemi cardiovascolari e un aumento del rischio di alcune forme tumorali.
Per questo, in molti Paesi, la rotta è già tracciata: riduzione drastica dell’uso, monitoraggi costanti, limiti molto più severi per l’acqua potabile.
In Italia, purtroppo, siamo ancora lontani da un quadro normativo uniforme e realmente protettivo.
Lombardia: il grande punto interrogativo
Se il Veneto ha “scoperto” il caso Miteni dopo anni di ritardi, la Lombardia presenta un problema ulteriore: l’assenza di una mappatura completa. Qualche monitoraggio sparso, iniziative locali, qualche studio universitario isolato – nulla però che possa fornire ai cittadini un quadro reale del rischio.
Eppure proprio in Lombardia:
- esistono aree industriali storiche potenzialmente esposte,
- alcuni corsi d’acqua mostrano valori anomali,
- mancano screening sanitari sistematici nelle popolazioni residenti.
Il silenzio non rende innocui i fenomeni ambientali. Li rende soltanto più difficili da affrontare quando emergono. Le azioni legali in difesa della cittadinanza sono possibili, ad iniziare dalla Lombardia.
Quali difese? Quali azioni legali?
Come già accaduto nei procedimenti sull’amianto, chi si ritiene danneggiato non è privo di strumenti. Le strade – civili, penali e amministrative – sono molteplici.
1. Azione civile per il risarcimento dei danni
Possono agire:
- residenti in zone contaminate,
- lavoratori esposti,
- proprietari di immobili avviliti nel valore,
- aziende agricole che hanno subito danni alle produzioni.
Il danno risarcibile può includere:
- danno biologico,
- danno morale,
- spese mediche,
- danno patrimoniale e svalutazione degli immobili,
- perdita di chance (soprattutto per chi presenta valori ematici elevati).
Fondamentale sarà la raccolta di:
- dati clinici,
- certificazioni di laboratorio,
- documentazione sui pozzi e sulle forniture idriche,
- studi di ARPA o enti terzi sulla contaminazione.
2. Denuncia penale per disastro ambientale o avvelenamento delle acque
Quando vi siano elementi sufficienti – valori fuori norma, contaminazioni storiche, mancati controlli – è possibile presentare:
- una denuncia alla Procura della Repubblica,
- chiedere l’iscrizione al registro degli indagati,
- costituirsi parte civile nel procedimento penale.
Nei processi Eternit e in numerosi casi amianto, la via penale ha rappresentato spesso un passaggio obbligato per far emergere responsabilità e ottenere risarcimenti collettivi.
3. Azioni collettive (class action)
La normativa italiana consente azioni collettive contro enti pubblici o privati per:
- violazione di obblighi di sicurezza,
- mancata prevenzione,
- effetti dannosi su un gruppo omogeneo di cittadini.
Nel caso PFAS, una class action può riguardare:
- residenti alimentati da un medesimo acquedotto,
- lavoratori di un comparto industriale,
- famiglie con valori ematici documentati.
4. Accesso agli atti e responsabilità delle amministrazioni
I cittadini possono chiedere agli enti locali:
- dati sulle analisi delle acque,
- risultati dei campionamenti nel suolo,
- eventuali comunicazioni interne su impianti industriali a rischio.
Se l’amministrazione ha omesso controlli o ritardato interventi, può rispondere per danni da comportamento omissivo.
Cosa dovrebbero fare subito i cittadini
Per chi sospetta di essere esposto:
- Richiedere le analisi del sangue per PFAS (o aderire agli screening disponibili).
- Verificare la qualità della propria acqua potabile, soprattutto se alimentata da pozzi privati.
- Conservare ogni documento medico, anche minimo.
- Raccogliere informazioni sul territorio: mappe idrogeologiche, analisi ARPA, articoli, comunicazioni comunali.
- Consultare un legale specializzato in diritto ambientale per valutare tempestivamente la strategia da adottare.
- Muoversi in modo collettivo: comitati, gruppi di quartiere, associazioni sono fondamentali per accreditare la forza della richiesta.
I diritti individuali sono importanti, ma nelle emergenze ambientali la forza del gruppo vale più della somma dei singoli.
Non ripetere gli errori dell’amianto. Agisci subito!
La storia dell’amianto ci ha insegnato che i problemi negati diventano tragedie.
Le bonifiche arrivano tardi, i processi arrivano tardi, le vite spezzate arrivano troppo presto.
I PFAS rappresentano la nuova frontiera di un inquinamento invisibile ma capace di segnare intere generazioni. Aspettare che “qualcuno” intervenga non è una strategia: è una resa.
La Lombardia merita una mappatura completa, controlli indipendenti e politiche serie di prevenzione. E i cittadini meritano protezione, informazioni chiare e strumenti per far valere i propri diritti.
Perché l’ambiente non è un tema ideologico: è il luogo in cui viviamo, respiriamo, cresciamo.
E difenderlo significa difendere noi stessi.
Se vuoi saperne di più scrivici a info@alassistenzalegale.it lasciando i tuoi recepiti oppure telefonaci 02 5450823
Abbiamo attivato un nostro dipartimento che valuterà i singoli casi e le possibili azioni legali per i cittadini danneggiati.
Siamo di fronte a un sistema giuridico che non solo consente, ma impone agli enti e ai soggetti responsabili:
- monitoraggio,
- prevenzione,
- eliminazione delle fonti inquinanti,
- tutela della salute pubblica.
Il quadro legislativo esiste ed è ampio. Ciò che manca – come già accaduto per l’amianto – è la volontà di applicarlo con la necessaria determinazione.
E questo lascia spazio, oggi più che mai, all’azione dei cittadini, dei comitati e degli avvocati.
Milano, 14.11.2025
Avv. Giovanni Bonomo – A.L. Chief Innovation Office


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