Scetticismo sul futuro o fiducia nel domani?
I consumatori americani non sono per niente soddisfatti. E quando i consumatori americani sono scontenti, molti investitori iniziano a preoccuparsi. Ma è davvero il caso di farlo? La fiducia dei consumatori, in realtà, non è sempre un indicatore affidabile per capire cosa accadrà all’economia in futuro. Oggi ancor di più, con il sentiment dei consumatori influenzato dalle notizie dei giornali, dai social media e dalle incertezze sulle politiche economiche del governo, questo indicatore potrebbe essere meno attendibile. Ma allora, in un contesto in cui molte decisioni dipendono dall’interpretazione delle dichiarazioni – o addirittura dal tentativo di leggere nella mente – dei policymaker statunitensi, dove possiamo guardare, quali indicatori possiamo analizzare per avere un quadro più chiaro della situazione?
Percezioni
Non si tratta solo della Fed che ha ridotto le stime di crescita e aumentato quelle sull’inflazione. Anche i principali sondaggi sui consumatori dipingono un quadro preoccupante, ipotizzando che gli Stati Uniti possano avviarsi verso una fase di stagnazione economica accompagnata da inflazione, la cosiddetta stagflazione.
A febbraio, l’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board è crollato di sette punti rispetto al mese precedente, scendendo a 98,3. Qualche settimana dopo, a marzo, l’Università del Michigan ha registrato un calo simile nel suo sondaggio sul sentiment dei consumatori, con l’indice sceso a 57,9. Questo studio ha mostrato anche un aumento delle aspettative inflazionistiche da parte dei consumatori e, sebbene in passato tali letture fossero fortemente influenzate dagli orientamenti politici, l’ultima rilevazione segnala una crescente preoccupazione anche tra gli elettori indipendenti.
L’indice delle aspettative del Conference Board è ora sotto quota 80, un livello che, secondo l’istituto, “di solito segnala un’imminente recessione”. Tuttavia, quel “di solito” richiede un’interpretazione più cauta. Basta tornare a giugno 2024 per trovare una lettura simile, che però non si concretizzò. Allo stesso modo, l’indice dell’Università del Michigan si trovava su livelli simili a quelli odierni già a novembre 2022. Insomma, se è vero che ogni recessione è stata anticipata da un calo della fiducia dei consumatori, è altrettanto vero che ci sono stati molti falsi allarmi.
Potrebbe essere lo stesso anche questa volta. I dati sulle vendite al dettaglio, ad esempio, non sono stati davvero negativi, ma semplicemente instabili, come spesso accade a inizio anno. Inoltre, il maltempo in alcune aree del Paese non ha aiutato. E poi, il pessimismo generale potrebbe essere eccessivo, influenzato dalle preoccupazioni sull’inflazione, che è stata protagonista degli ultimi tre anni, e dalle incertezze politiche, che al momento sono particolarmente elevate. Per molti americani, il lavoro nel settore pubblico o per un appaltatore governativo, tradizionalmente considerato sicuro, ora appare meno stabile. Insomma, questo pessimismo potrebbe essere in parte una questione di percezioni soggettive: quello che potremmo definire un problema di “vibes” negative.
Investimenti aziendali e assunzioni
Possiamo essere ragionevolmente fiduciosi che le condizioni di mercato miglioreranno. Anche se alcuni leader aziendali sottolineano le difficoltà legate all’incertezza politica, allo stesso tempo segnalano un approccio più cauto e ragionato in vista di importanti scadenze, come quella sui dazi del 2 aprile. Nel frattempo, alcune decisioni governative sembrano limitare iniziative eccessive del Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE).
Detto questo, è difficile prevedere con esattezza come queste incertezze si risolveranno. Ciò che possiamo fare, però, è ascoltare chi guida le aziende in cui investiamo e con i quali abbiamo un dialogo continuo. E qui emerge un quadro interessante: se da un lato i consumi sono un elemento importante per i bilanci aziendali, dall’altro i piani di investimento e di assunzioni delle imprese sono forse ancora più rilevanti, perché determinano quanto denaro finirà nelle tasche dei consumatori.
Quello che stiamo osservando è che i manager delle aziende sono cauti, ma non così pessimisti come appaiono i consumatori o come suggeriscono i media e i sondaggi di settore. Alcuni stanno rallentando i nuovi investimenti, ma pochi stanno cancellando i progetti già in corso. Anche i licenziamenti, quando ci sono, sembrano più una scelta strategica che necessaria. Inoltre, i tagli alla forza lavoro nel settore pubblico offrono a quello privato una sorta di “alibi” per snellire le proprie strutture, senza troppi rischi reputazionali.
Due approcci diversi: consumatori e aziende
Ci troviamo quindi di fronte a due atteggiamenti molto diversi: i consumatori sembrano più scettici sul futuro, mentre le aziende sembrano riporre più fiducia nel domani. È probabile che nei prossimi mesi i consumi restino un po’ deboli, almeno fino al secondo trimestre dell’anno. Crediamo tuttavia che il sentiment delle aziende sia un indicatore più realistico della situazione economica attuale, meno influenzato dalle emozioni e dalle incertezze che dominano i titoli dei giornali, rispetto al sentiment dei consumatori.
Per questo motivo, prevediamo ancora una ripresa degli investimenti aziendali, delle assunzioni e della crescita economica nella seconda metà del 2025 e nel 2026. Ci attendiamo inoltre che le dinamiche che stanno caratterizzando i mercati azionari continuino: meno spazio ai colossi tecnologici americani e focus su una gamma più ampia di settori, regioni e aziende.

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