Il dollaro scende, il dollaro sale. L’altalena innescata dalla politica dei dazi di Trump

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Ieri il dollaro si è apprezzato nei confronti dell’euro e dello yen, grazie al sostegno dei mercati dovuto all’accordo commerciale tra Stati Uniti e UE, che ha portato una certa sicurezza e allontanato il rischio di una guerra commerciale globale.

L’effetto sorprendente dei dazi di Trump sul dollaro: da teoria a realtà

Le misure protezionistiche introdotte tra inizio e metà 2025 avrebbero dovuto rafforzare il dollaro, ma da subito hanno innescato l’effetto opposto: svalutazione, fuga di capitali e incertezza sui mercati.

Secondo i canoni classici della politica commerciale, l’imposizione di dazi riduce le importazioni e limita la domanda di valuta estera: in teoria, avrebbe dovuto come prima conseguenza apprezzare il dollaro. Questo è stato l’argomento utilizzato nell’amministrazione Trump per giustificare le tariffe: rendere le merci USA più competitive e il dollaro più forte. Anche se, paradossalmente, il cosiddetto “Mar‑a‑Lago Accord”, discusso per la prima volta all’inizio del 2025, mirava esplicitamente a deprezzare il dollaro per favorire le esportazioni americane. Ma a queste bizzarrie strategiche ci stiamo ormai abituando.

La svolta del 2 aprile 2025: svalutazione immediata

Il 2 aprile, con l’annuncio dei dazi “reciproci” su vasta scala, i mercati scommettevano su un rafforzamento del dollaro, ma i risultati si rivelarono opposti: il Dollar Index (DXY) perse circa il 4‑5% in pochi giorni, segnando una delle flessioni più rapide dal 2008. Gli investitori, percependo rischio nell’eccessiva instabilità delle politiche commerciali, preferivano liquidare asset in dollari e riallocare capitali altrove.

Le cause principali della debolezza del dollaro

Fuga di capitali: l’incertezza normativa e commerciale ha scosso la fiducia degli investitori stranieri nelle attività americane, erodendo l’attrattiva del dollaro.
Gli effetti del conflitto tariffario: le immediate contromisure di Canada, Messico, Cina ed Europa hanno ridotto gli effetti calmieranti sui flussi commerciali, alterando l’equilibrio teorico tra importazioni ed esportazioni.
Incertezza politica interna: attacchi dell’amministrazione Trump alla Fed e possibili interferenze sulla sua indipendenza hanno alimentato i timori su futura inflazione e instabilità monetaria, alimentando l’indebolimento del dollaro.

Conseguenze sull’economia e sul cambio

Il quadro è chiaro: all’inizio del 2025, il dollaro ha perso circa il 10% rispetto a molte valute, tra cui l’euro e lo yen. Questo ha innescato immediatamente pressione al ribasso sui prezzi di importazione, ma ha inciso anche su dinamiche più ampie. Le analisi del Budget Lab (Yale) stimano una contrazione del PIL statunitense di -0,9 pp nel 2025 a causa dei dazi e delle ritorsioni. Deutsche Bank e Société Générale parlavano addirittura di una crisi di “fiducia nel dollaro”, con investitori sempre più riluttanti a detenere asset denominati in USD. Nonostante le entrate fiscali da dazi siano elevate e consentano una sorta di stimolo temporaneo, l’impatto sull’inflazione e sui salari è già visibile: i consumatori americani affrontano aumenti dei prezzi e perdita di potere d’acquisto.

Primo semestre 2025: perché il dollaro si è indebolito, non rafforzato

Contrariamente al modello economico tradizionale, nel caso di Trump l’effetto dominante è stato la perdita di fiducia nei mercati. Secondo alcuni analisti, la svalutazione non è stata un’immediata conseguenza dei flussi commerciali, ma piuttosto della reazione degli investitori globali: portafogli che venivano disinvestiti da attività americane per timore di escalation tariffaria e discontinuità istituzionale.

L’attuale contesto (luglio 2025)

Un accordo recente tra USA e Unione Europea, fissato al 15% sui dazi d’importazione, ha portato a un rafforzamento parziale del dollaro e stabilità sui mercati finanziari. Tuttavia, l’ombra della volatilità resta: l’imposizione di tariffe senza un chiaro disegno strategico e le pressioni politiche sulla Federal Reserve mantengono la percezione di un rischio valutario strutturale ancora presente.

In definitiva, le attuali politiche tariffarie di Trump non hanno rafforzato fin da subito il dollaro come previsto. Al contrario, la reazione dei mercati dominata dalla sfiducia e dalla volatilità ha prevalso sui fattori teorici legati al commercio, provocando una svalutazione significativa. Sebbene alcune misure recenti abbiano temporaneamente attenuato la tensione, e in questi giorni il dollaro sta dimostrando maggior tenuta, la situazione resta instabile: questioni di credibilità istituzionale e di fiducia globale continuano a pesare sulle prospettive della valuta americana.