Resilienza comunicativa. BitChat, l’app che reinventa la messaggistica senza rete
BitChat, l’app che reinventa la messaggistica senza rete
Anatomia di una piattaforma decentralizzata per la resilienza comunicativa
— a cura del Prof. Marco Bacini, Direttore Master Intelligence per la Sicurezza Nazionale e Internazionale
Nel processo della trasformazione digitale, la connettività è spesso ed erroneamente data per scontata, ma non sempre serve una rete per comunicare. A volte basta una stretta di mano virtuale tra dispositivi. Ed è partendo da questa intuizione che si fonda BitChat, l’app di messaggistica ideata da Jack Dorsey, per i momenti in cui Internet non c’è, non funziona o non è sicuro usarlo.
BitChat rappresenta un’inversione di paradigma. Lanciata dal fondatore di Twitter e attuale CEO di Block Inc., BitChat è una piattaforma di messaggistica decentralizzata basata su Bluetooth Low Energy (BLE), capace di funzionare senza accesso a Internet, SIM o reti Wi-Fi. Il progetto, ancora in fase beta e disponibile su iOS attraverso TestFlight (con i primi 10.000 slot esauriti in pochi giorni), con il desiderio di imporsi non come un’alternativa a WhatsApp o Telegram, ma come una risposta strutturale a possibili scenari in cui la comunicazione è negata, compromessa o sotto controllo.
Una logica mesh peer-to-peer
A differenza delle soluzioni tradizionali, BitChat sfrutta una logica mesh peer-to-peer in cui ogni dispositivo attivo diventa un nodo che riceve, instrada e ritrasmette pacchetti crittografati. La portata diretta del BLE si attesta attorno ai 30 metri, ma grazie alla topologia mesh (un tipo di architettura di rete in cui ogni nodo è collegato direttamente a uno o più altri nodi, creando una struttura decentralizzata) e alla densità degli utenti, la copertura può espandersi fino a 200–300 metri, con dinamiche che ricordano i sistemi radio ad hopping multiplo. È evidente, sin da queste premesse, che l’efficacia di BitChat non dipende tanto dall’infrastruttura quanto dalla prossimità e dall’adesione del network umano, più utenti attivi, maggiore resilienza della rete.
Dal punto di vista della sicurezza, BitChat adotta un impianto crittografico avanzato. Le comunicazioni sono cifrate end-to-end con Curve25519 per lo scambio delle chiavi e AES-GCM per la simmetrica. L’identità dell’utente è effimera e rinnovabile infatti non è richiesto alcun numero di telefono, e-mail o nome. L’app genera ID pseudocasuali che si resettano a ogni nuova sessione, introducendo di fatto un’architettura post-identitaria che riduce la tracciabilità e rende più difficile il profiling.
A ciò si aggiungono strumenti di dissimulazione e protezione passiva, come l’invio di messaggi “dummy” per confondere il traffico reale, gruppi protetti da password, autodistruzione dei contenuti dopo 12 ore e un “panic mode” che consente, con tre tocchi consecutivi, di cancellare ogni dato. Non si tratta solo di funzioni orientate alla privacy, ma di dispositivi funzionali alla sopravvivenza comunicativa in contesti ad alta criticità come proteste politiche, emergenze umanitarie, blackout infrastrutturali o teatri operativi ad alto rischio informativo.
Un modello comunicativo decentralizzato
Il progetto, benché al momento embrionale, si presta a valutazioni strategiche più ampie. BitChat introduce un modello comunicativo decentralizzato che, se integrato con tecnologie come Wi-Fi Direct, potrebbe consentire la creazione di reti autonome in aree rurali, territori sotto embargo digitale o regioni colpite da catastrofi. Si tratta, a tutti gli effetti, di una piattaforma per la resilienza collettiva. Oggi il controllo informativo diventa sempre più sofisticato e la possibilità di scambiare informazioni senza dipendere da provider centralizzati assume una rilevanza geopolitica e sociale non trascurabile.
Limiti strutturali e rischi teorici
Esistono però anche limiti strutturali e rischi teorici. L’app non è esente da problematiche legate al consumo energetico, sebbene moderate: mantenere il Bluetooth attivo, con scansione costante, comporta un impatto tangibile sulla durata della batteria. Inoltre, la trasmissione dei pacchetti avviene solo tra utenti BitChat attivi e in assenza di densità sufficiente, la rete collassa su sé stessa. Va poi considerata una possibile esposizione a vulnerabilità future, qualora l’implementazione non venga sottoposta ad una revisione in modo indipendente, poiché modifiche malevole del software potrebbero teoricamente trasformare un nodo in un punto di raccolta metadati, soprattutto in ambienti ad alta sorveglianza.
Un altro aspetto sottovalutato riguarda l’asimmetria informativa tra utenti. Molti non sono consapevoli che, tenendo BitChat attiva in background, i loro dispositivi possono fungere da relay per messaggi altrui. Sebbene ciò non comprometta la loro privacy, potrebbe sollevare dubbi in ambito forense o legale, qualora un’indagine riguardasse la trasmissione di contenuti illeciti attraverso la rete mesh locale.
Infine, un’osservazione sul contesto tecnologico e culturale, BitChat non è un vezzo rétro da tecno-utopisti, ma un tentativo concreto di rendere la comunicazione meno dipendente dalla verticalità delle Big Tech. Se diventerà uno standard, o resterà una nicchia per attivisti digitali e operatori di emergenza, dipenderà dalla sua capacità di scalare senza perdere integrità, usabilità e affidabilità.
Nel frattempo, ciò che BitChat dimostra è che anche nella società più connessa della storia, la capacità di comunicare non può più essere data per garantita. E che proprio per questo, progettare strumenti per l’assenza di rete è oggi uno degli atti più lungimiranti nel campo della sicurezza, della democrazia e della sovranità informativa.

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