UBS WM – weekly comment Matteo Ramenghi: Passi felpati

Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM in Italia -

La scorsa settimana la banca centrale americana ha tagliato i tassi e probabilmente continuerà nelle prossime riunioni, ma si trova in una posizione delicata: l’inflazione è salita al 2,9% e potrebbe risentire ancora dei dazi, mentre il mercato del lavoro sta rallentando e le richieste di sussidi di disoccupazione sono ai massimi da fine 2021. Nel frattempo, il mercato azionario presenta valutazioni elevate, soprattutto negli Stati Uniti. Il rapporto prezzo/utili attesi dell’indice S&P 500, a 22x, è ai massimi da vent’anni, spinto dai sette colossi tecnologici soprannominati «Magnifici sette». Queste società rappresentano gran parte della crescita anche grazie a copiosi investimenti nell’intelligenza artificiale (IA). Durante una recente conferenza stampa, il management di NVIDIA ha dichiarato di prevedere investimenti per oltre 3 mila miliardi di dollari entro la fine del decennio.

Nel breve termine questi investimenti potrebbero pesare sui conti economici e non si può escludere il rischio di un’«indigestione da intelligenza artificiale». Tuttavia, nel medio-lungo periodo l’esposizione alla tecnologia resta importante per la performance dei portafogli. Nel complesso, penso che gli investitori già allineati alla propria asset allocation strategica in termini di esposizione azionaria possano rimanere investiti, vincendo il senso di vertigini per le valutazioni.

Chi invece è sottoesposto potrebbe attendere di sfruttare eventuali correzioni. A livello geografico, nonostante le valutazioni superiori alla media storica, il Giappone potrebbe essere interessante in vista del cambiamento di governo, che potrebbe portare a una politica fiscale più accomodante. Le aziende giapponesi hanno ritorni sul capitale molto bassi e da tempo si attendono riforme della governance che potrebbero finalmente concretizzarsi.

La sostenibilità del debito pubblico nelle principali economie avanzate è tornata al centro dell’attenzione, complice la recente instabilità politica in Francia, Giappone e Regno Unito.

Il debito pubblico sta crescendo rapidamente in molti Paesi avanzati e i deficit mostrano pochi segnali di riduzione; da questo punto di vista l’Italia rappresenta un’eccezione positiva.

Per sopperire a problemi di crescita, alcuni Paesi (per esempio la Germania) hanno di fatto annunciato piani d’indebitamento. In altri periodi questa situazione avrebbe potuto attirare l’attenzione dei cosiddetti «bond vigilantes», termine coniato negli anni ’80 per indicare i grandi gestori e fondi obbligazionari che, mediante la vendita di titoli di Stato, possono far impennare i rendimenti e spingere i governi verso politiche fiscali più prudenti. Tuttavia, grazie al calo dei tassi d’interesse i rendimenti sono generalmente rimasti sotto controllo. D’altra parte, governi e banche centrali dispongono di numerosi strumenti per influenzare il mercato obbligazionario.

Ad esempio, il Tesoro americano sta contenendo il costo del debito privilegiando emissioni a breve termine e riacquistando titoli a lunga scadenza. Inoltre, la Federal Reserve (Fed) sta valutando di ridurre i requisiti di capitale bancario, liberando fino a 500 miliardi di dollari per sottoscrivere nuove emissioni di Treasury.

Anche il ministero delle Finanze giapponese si sta orientando verso le emissioni a breve termine e in passato la Bank of Japan è intervenuta in modo significativo sul mercato. Nel Regno Unito, la Bank of England dovrebbe ridimensionare il programma di riduzione della liquidità. Nella zona euro, la Banca centrale europea (BCE) ha sviluppato una serie di strumenti (tra cui il Transmission Protection Instrument) e ha dimostrato di poter contenere i rendimenti obbligazionari, seppur con alcune limitazioni.

La BCE, infatti, ha un mandato più ristretto rispetto ad altri istituti centrali: il suo obiettivo primario è la stabilità dei prezzi mentre, per esempio, la Fed pone al primo posto l’occupazione e solo in seconda battuta la stabilità dei prezzi. Nel campo obbligazionario, i titoli di buona qualità in euro offrono rendimenti ben superiori all’inflazione attesa e, nel caso di un rallentamento economico più marcato, questi rendimenti potrebbero scendere a beneficio del valore di mercato.

Al contrario, il credito high yield appare meno interessante, visti gli spread storicamente compressi. Negli ultimi anni molti investitori hanno mantenuto esposizioni al dollaro elevate per cogliere le opportunità offerte dagli Stati Uniti: tecnologia, tassi d’interesse più alti e ruolo del dollaro come valuta rifugio. Complessivamente si stima che vi siano investimenti esteri per 14 mila miliardi di dollari senza coperture valutarie. Ma con tassi americani in discesa e una posizione fiscale indebolita, la debolezza del dollaro potrebbe continuare.