Copyright e intelligenza artificiale: la Corte Suprema USA chiamata a decidere se anche le macchine possano essere “autrici”
Una questione destinata a ridefinire il concetto stesso di creatività
di Claudio Bonato
Negli Stati Uniti, la Corte Suprema è stata chiamata a decidere su una questione destinata a ridefinire il concetto stesso di creatività nell’era digitale: un algoritmo può essere autore di un’opera d’ingegno?
A porre il tema è Stephen Thaler, informatico e imprenditore, che ha chiesto la registrazione del copyright per un’immagine intitolata “A Recent Entrance to Paradise”, generata in modo completamente autonomo dal suo sistema di intelligenza artificiale denominato DABUS (acronimo di Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience).
L’U.S. Copyright Office ha respinto la richiesta sostenendo che la legge americana tutela solo le opere con autorialità umana, principio poi confermato sia dal tribunale distrettuale di Washington sia dalla Corte d’Appello del Distretto di Columbia. Secondo i giudici, la creatività – giuridicamente parlando – resta prerogativa della persona.
Thaler ha ora presentato una petizione alla Corte Suprema, sostenendo che l’obbligo di autorialità umana non è esplicitamente previsto nel testo della legge sul copyright e che tale interpretazione rischia di diventare un freno all’innovazione. Se l’obiettivo costituzionale del copyright è “promuovere il progresso della scienza e delle arti utili”, argomenta il ricorrente, non si dovrebbe escludere la creatività generata da sistemi intelligenti.
Un bivio per la proprietà intellettuale
La decisione avrà implicazioni profonde non solo per giuristi e artisti digitali, ma anche per l’intera economia della conoscenza. Le aziende che utilizzano sistemi come Midjourney, ChatGPT o Stable Diffusion si trovano oggi in una zona grigia: i contenuti creati con il supporto dell’IA sono protetti solo se il contributo umano è “significativo”.
Una conferma della linea restrittiva manterrebbe questa incertezza, rendendo difficile monetizzare e difendere le opere generate da algoritmi. Viceversa, un’apertura della Corte Suprema potrebbe introdurre un nuovo paradigma giuridico, in cui l’IA diventa strumento di creazione riconosciuto dal diritto, con conseguenze economiche notevoli: nuovi asset di proprietà intellettuale, nuovi mercati di licenze e nuovi rischi di abuso o concentrazione.
L’America come laboratorio globale
Il caso Thaler arriva mentre negli Stati Uniti crescono le dispute sull’uso di materiali protetti per addestrare i modelli di IA. Una corte federale ha recentemente stabilito che l’impiego commerciale di opere protette non è “fair use” se non trasforma in modo sostanziale il contenuto originario. Anche questo fronte mostra come il diritto d’autore tradizionale fatichi a dialogare con la tecnologia generativa.
In Europa il dibattito si muove in direzione opposta: il nuovo AI Act dell’Unione europea non tocca direttamente il tema del copyright, ma impone trasparenza sui dataset e sui modelli, introducendo vincoli che potrebbero influire sulle stesse dinamiche di tutela delle opere.
Una decisione ad alto impatto economico
La Corte Suprema dovrà ora decidere se accogliere la petizione di Thaler e, in caso positivo, pronunciarsi nel merito nei prossimi mesi. Qualunque sarà l’esito, il verdetto avrà effetti dirompenti:
- Se verrà confermata la necessità di un autore umano, il copyright resterà ancorato alla dimensione personale e le creazioni totalmente autonome dell’IA saranno di pubblico dominio.
- Se invece la Corte aprirà alla possibilità di riconoscere un diritto anche alle opere non umane, nascerà un nuovo mercato di diritti intellettuali “algoritmici”, con ricadute economiche e regolatorie globali.
Per il diritto d’autore – e per l’intera industria creativa – è il momento della verità. Dalla decisione della Corte Suprema dipenderà non solo il futuro della protezione legale delle opere digitali, ma anche la capacità dei sistemi economici di governare l’innovazione senza soffocarla.

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