Emissioni globali di carbonio in rallentamento, ma l’Europa avverte: non basta
Negli ultimi dieci anni la crescita delle emissioni globali di carbonio ha dato segnali rassicuranti: un rallentamento medio annuo dello 0,32 %, secondo i dati dell’Energy and Climate Intelligence Unit. Un risultato che testimonia un certo effetto delle politiche climatiche, ma che non deve indurre a facili illusioni. Per rispettare l’Accordo di Parigi, il rallentamento dev’essere solo il punto di partenza, non l’arrivo.
L’Europa in prima linea, ma sotto osservazione

I commentatori europei guardano con attenzione a quanto accade nel continente, spesso con un misto di orgoglio e cautela. Il Financial Times osserva che «la discesa delle emissioni del blocco UE farà poco per abbassare le emissioni globali», data la quota modesta del continente nella fotografia complessiva dei gas serra, ma riconosce che l’Unione può svolgere un ruolo d’esempio.
In altri commenti, si evidenzia come l’Unione stia effettivamente mostrando segnali positivi: nel 2024 le emissioni regolate dal sistema ETS dell’UE sono scese del 5 %, soprattutto per il calo del settore energetico. E il report della European Commission sul progresso climatico europeo segnala una riduzione dell’8 % per il 2023 nell’UE.
Tuttavia, media e analisti europei insistono su un punto critico: questi sforzi, per quanto apprezzabili, non bastano per compensare le tendenze in aumento in altre aree del mondo. L’Europa può “guidare”, ma serve una risposta globale. FT commenta: «il blocco UE dovrà fare di più, non accontentarsi di guidare la tendenza interna».
Le sfide: trasporti, agricoltura e incoerenze politiche
Un tema ricorrente nei commenti è quello delle emissioni “resistenti” nei settori che più faticano a cambiare: trasporto su strada, agricoltura e riscaldamento domestico. Un recente studio accademico mette in guardia sul fatto che un ritardo nella decarbonizzazione del trasporto terrestre “sposta il peso” della riduzione su altri settori, aumentando i costi complessivi e la pressione politica.
Critiche vengono anche alle politiche climatiche che restano disomogenee nei Paesi membri. In un editoriale su Le Monde si segnala che la Francia, pur professando ambizione climatica, sta accumulando “ritardi significativi” nel percorso verso la neutralità al 2050: «la maggior parte delle riduzioni nel 2024 sono dovute a circostanze temporanee, non a riforme strutturali».
Altro fronte caldo: le pressioni lobbistiche delle industrie energivore e dei trasporti. Le compagnie aeree europee, ad esempio, spingono per alleggerire le regolamentazioni del carbonio, sostenendo che le misure attuali “mettono in pericolo la competitività”.
Un binomio indispensabile: impegno e ambizione
La lezione che emerge dalla stampa europea è chiara: il rallentamento nella crescita delle emissioni è un risultato da valorizzare, ma non sufficiente. È necessario intensificare la politica climatica con interventi più decisi nei settori “pigri” (trasporti, agricoltura, edilizia). Allineare le azioni nazionali per evitare che le buone pratiche europee siano vanificate da comportamenti “fuori area”. Aumentare la cooperazione internazionale, rafforzando l’azione nei Paesi emergenti, dove le emissioni continuano a crescere. Coerenza politica e volontà di innovazione, poiché ogni forma di ambiguità nel sostegno a politiche ambientali indebolisce la credibilità dell’azione pubblica.
Il rallentamento delle emissioni globali del 0,32 % annuo non è un punto di arrivo, ma un segnale che le politiche hanno un impatto reale. Se però non si trasformano in un’accelerazione coordinata rischiano di restare una parentesi favorevole piuttosto che un cambio strutturale.

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