Pensioni, contano i numeri (giusti): 23 milioni di prestazioni non sono 23 milioni di pensionati

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L’ultimo Osservatorio Inps chiarisce: i trattamenti attivi sono 23 milioni, i beneficiari reali 16,3 milioni

E il gender gap resta profondo: agli uomini oltre un terzo in più delle donne

Il nuovo Osservatorio statistico dell’INPS fotografa con precisione un dato spesso frainteso nel dibattito pubblico: in Italia le prestazioni del sistema pensionistico vigenti al 31 dicembre 2024 sono poco più di 23 milioni per una spesa annua di 364 miliardi di euro. Ma i pensionati – cioè le persone fisiche che incassano almeno un trattamento – sono 16,3 milioni. La differenza è sostanziale e dipende dal fatto che molti beneficiari percepiscono più di una prestazione: vecchiaia e reversibilità, oppure vecchiaia e invalidità, combinazioni che il Casellario centrale dei pensionati rileva con sistematicità. Nel dettaglio, l’Inps certifica che il 68% dei beneficiari riceve una sola pensione, mentre circa il 32% ne incassa due o più, per una media aritmetica di 1,4 trattamenti pro-capite. Questi numeri sono riportati nel comunicato ufficiale pubblicato il 23 ottobre 2025 e costituiscono la base statistica più aggiornata per leggere la platea italiana della spesa previdenziale.

Capire la distinzione tra “prestazioni” e “pensionati” evita conclusioni distorte sul peso demografico ed economico del sistema. Se si contassero i 23 milioni come persone, si sopravvaluterebbe di oltre un terzo la dimensione dei beneficiari. L’Inps spiega inoltre come si compone il mosaico: il 77,2% dei trattamenti rientra nella previdenza (vecchiaia, anticipi, invalidità previdenziale, superstiti), il 20,2% nell’assistenza (invalidità civile, assegni/pensioni sociali, guerra) e il 2,7% circa nelle rendite indennitarie. Tra i gruppi, i titolari di vecchiaia sono 11,4 milioni e nel 28% dei casi cumula­no un secondo trattamento; i superstiti sono 4,2 milioni, di cui il 68% aggiunge una prestazione di altro tipo; i beneficiari assistenziali sono 3,9 milioni e quasi uno su due (48%) percepisce anche prestazioni diverse da quelle assistenziali. Sono soprattutto le indennità di accompagnamento a sommarsi a pensioni previdenziali, contribuendo al totale delle erogazioni.

Il quadro economico conferma una dinamica di spesa in crescita. L’ammontare complessivo annuo raggiunge 364,132 miliardi, in aumento del 4,9% sul 2023. La stessa tendenza è colta da diverse analisi giornalistiche e settoriali, che evidenziano anche la distribuzione degli importi: quasi un pensionato su tre riceve meno di 1.000 euro al mese, con una quota più elevata tra le donne.

Il gender gap

Proprio sul gender gap l’Osservatorio è netto: le donne sono il 51% dei pensionati, ma gli uomini percepiscono il 56% dei redditi pensionistici. In termini medi, il reddito annuo dei primi è 25.712 euro contro 19.140 euro per le seconde: +34% a favore degli uomini. Non è un’anomalia statistica, ma l’effetto cumulato delle carriere lavorative femminili più discontinue, di un part-time più diffuso, di interruzioni legate alla cura e, storicamente, di retribuzioni più basse. Una letteratura ampia – dal XXIV Rapporto annuale Inps alle analisi di centri studi e media economici – riconduce a questi fattori la forbice nei trattamenti, oltre che alla diversa composizione delle tipologie di pensione.

La mappa territoriale aggiunge un ulteriore tassello di interpretazione: Nord con il 51,1% della spesa e importi medi più alti del 7,1% rispetto alla media nazionale, Mezzogiorno al 28% e Centro al 20,9%. La geografia della spesa riflette la distribuzione storica di occupazione stabile e salari, quindi i montanti contributivi su cui si calcolano gli assegni.

Guardando ai flussi più recenti, i dati Inps sui nuovi pensionamenti confermano che il canale della vecchiaia resta prevalente, mentre gli anticipi (nelle varie forme) incidono in modo significativo sul ricambio: un’informazione utile per valutare gli effetti delle finestre normative e delle misure di flessibilità in uscita che il legislatore di volta in volta introduce o rimodula.

Per chi scrive di finanza pubblica, il messaggio di metodo è chiaro: usare i beneficiari (16,3 milioni) per stimare la platea e le prestazioni (23 milioni) per misurare l’intensità dell’erogazione. Solo così si evitano sovrastime della popolazione interessata e si coglie, invece, la pluriprestazione come tratto strutturale del sistema. È su questa base che va letto anche il dibattito su sostenibilità e equità: non basta guardare al totale della spesa, occorre capire come e a chi va, tenendo insieme demografia, mercato del lavoro e divari territoriali e di genere.