Investire in PMI. Askéon Capital, paziente e strategico: intervista a Umberto Callegari. Dove investire e con quali obiettivi
Askéon Capital, paziente e strategico: intervista a Umberto Callegari
La Mia Finanza incontra Umberto Callegari, Presidente e founding partner di Askéon Capital. Porta in dote oltre vent’anni di esperienza in ruoli di leadership globale presso Microsoft, Accenture e Deloitte. Dopo aver guidato trasformazioni aziendali e investimenti multisettore, Callegari ha deciso di creare un veicolo che investe in PMI per trovare scala, competenze manageriali ed etica.
Intervista a Umberto Callegari
Prima di entrare nel merito del vostro modello ci chiarisce il contesto in cui ci troviamo “in numeri”
“L’Italia è un Paese di PMI e famiglie: oltre il 99% delle imprese rientra nella definizione di PMI (con le micro che sono ~95% del totale) e l’85% è a controllo familiare; questo tessuto impiega più del 76% della forza lavoro e genera il 63% del PIL. Sul fronte demografico‑imprenditoriale, il 18% delle PMI dovrà affrontare un passaggio generazionale nei prossimi 5 anni—circa 700.000 aziende—ma meno del 14% dispone oggi di un piano di successione; in manifattura stimiamo ~120.000 passaggi nello stesso orizzonte. È qui che si concentra rischio e opportunità: senza capitale paziente e governance, l’esito è spesso contrazione o vendita forzata a multipli depressi; con competenze manageriali, aggregazioni funzionali e investimenti mirati. Lo stesso fenomeno può diventare motore di produttività, occupazione e ritorni più stabili per chi investe”.
Perché l’Italia deve ripartire dal basso e perché conviene anche a chi investe
Lei ha costruito la sua carriera tra strategia, M&A e trasformazioni operative globali. Perché oggi Askéon Capital
“Perché l’Italia ha una fragilità strutturale che non è colpa delle imprese familiari — che restano un valore culturale e competitivo — ma della loro polverizzazione, sotto‑capitalizzazione e scarsa managerializzazione. Le PMI sono oltre il 99% delle aziende italiane, creano il 63% del PIL e impiegano oltre il 76% della forza lavoro. Se non agiamo, la vulnerabilità diventa sistemica ed arricchirà che vuole estrarre valore dagli asset, se agiamo con capitale paziente, governance e competenze, possiamo trasformarla nel nostro vantaggio competitivo”.
Negli anni dei tassi a zero il private equity globale ha corso con vento in poppa. Che cosa è cambiato oggi?
“È cambiato lo scenario. I fondi hanno accumulato un arretrato di partecipazioni non dismesse nell’ordine di 3–3,6 trilioni di dollari, mentre nel 2024 le distribuzioni agli investitori si sono fermate attorno all’11% del NAV. Il modello “acquista‑ristruttura‑rivendi” ha perso slancio: tende a estrarre più valore di quanto ne ricrei. Genera “ordine” nei conti del singolo deal, ma accresce il disordine dell’ecosistema.
La fisica lo spiega meglio di qualunque report: il secondo principio della termodinamica insegna che in un sistema chiuso l’entropia cresce. Se comprimi costi e spremi cassa senza introdurre nuova energia — innovazione, governance, capitale paziente — il sistema si raffredda fino a morire. Non è filosofia: è meccanica industriale”.
L’Italia come banco di prova
Perché l’Italia è il terreno più interessante per testare un modello diverso?
“Perché è un Paese di imprese familiari, spesso eccellenti ma isolate. Nel perimetro produttivo non finanziario, le PMI fanno due terzi del valore aggiunto e tre quarti dell’occupazione, ma i canali di capitale non bancario sono sottili: equity ~0,2% del PIL, bond corporate ~0,9%, venture ~0,04%. Solo l’8% delle imprese dichiara di usare applicazioni di AI. A questo si somma l’onda di successioni: ~700 mila aziende cambieranno generazione nei prossimi anni; 314.824 titolari hanno ≥70 anni e poche imprese hanno un piano formale. Senza governance e capitali di lungo termine, molti finiranno per vendere a multipli depressi.
E quando la fabbrica si ferma, si svaluta tutto: redditi, servizi, immobili; cresce l’incertezza sociale e la propensione al populismo ed a condotte irrazionali. L’entropia economica ha conseguenze sociali.
Secondo i dati, in Italia 7 aziende su 10 non superano il passaggio generazionale. La frammentazione è il rischio trasversale di ogni comparto. Servono aggregazioni e capacità manageriali con visione di lungo periodo: è l’unico modo per agire sulla spina dorsale del Paese, oggi privata — per polverizzazione e mancanza di governance — della capacità di competere.”
Esiste un’altra strada?
“Sì: scegliere tra declino o trasformazione. La seconda richiede capitali pazienti, cultura e coraggio per fare dell’Italia un laboratorio di competitività sostenibile. Askéon nasce per questa strada: non compra e rivende; accompagna le PMI nella transizione generazionale e nel loro processo di crescita, investe in settori strategici e promuove una cultura d’impresa che coniughi profitto, continuità e impatto sociale”.
I numeri che sorreggono l’investment thesis
Davvero “oltre il 99%”? Ci dia i numeri chiave sul ricambio generazionale…
- >99% delle imprese è PMI; le micro (<10 addetti) sono 95,13%.
- 85% delle PMI è familiare.
- Le PMI impiegano >76% dei lavoratori e generano il 63% del PIL: su un PIL di ~€2,1 trilioni, parliamo di ~€1,323 trilioni.
- Fatturato medio per impresa familiare ~€320.000 (vs ~€850.000 delle PMI più “imprenditoriali”): indice di polverizzazione e difficoltà a scalare.
- Ricambio generazionale: 18% delle PMI entro 5 anni (~700.000 imprese); solo il 14% con piano di successione. In manifattura, stimiamo ~150.000 passaggi di proprietà nello stesso orizzonte.
Questi dati fotografano insieme rischio e opportunità: tra successioni e fragilità operative, l’ordine di grandezza delle imprese “coinvolte” sfiora il milione, ma il dato puntuale sugli ownership change nei prossimi 5 anni è ~700.000.”
Qual è il costo del non fare? Quanta economia è a rischio?
“Senza interventi — managerialità, capitali pazienti, aggregazioni industriali — quasi 800.000 imprese familiari potrebbero non farcela nel prossimo ciclo, con valore a rischio stimato ~€380 miliardi in dieci anni; nei settori chiave (manifattura, servizi, agro‑food, turismo, costruzioni, moda) ~€260,5 miliardi. È una minaccia diretta a PIL, occupazione e coesione sociale. Spalmato in dieci anni, l’effetto implicherebbe ~1,8% di PIL eroso ogni anno; nei settori chiave il peso lordo è ~12,4% del PIL (≈ 1,24%/anno su dieci anni)”.
Conviene creare: i dati sui rendimenti
Nel decennio passato la performance dei buyout è venuta da crescita ricavi e multipli. Con tassi “alti più a lungo”, non è più rischioso?
“Sì. Quando il rendimento nasce da produttività, qualità dei ricavi e ROIC, diventa meno dipendente dalle finestre di mercato e più difendibile nel tempo. Le aziende gestite con orizzonte lungo hanno registrato +47% ricavi e +36% utili vs peer “short‑term”, con meno volatilità e più R&D; le familiari quotate hanno sovraperformato di 300–400 bps/anno dal 2006 con leverage più basso e flussi più regolari e sostenibili nel tempo. La tesi è semplice: costruire batte estrarre”.
La via italiana di Askéon: agire dal basso, ora
Come si traduce operativamente?
“Con un modello disegnato sull’Italia reale:
- Investimento leadership di governance. Entriamo nel capitale con presidenza operativa del CdA (o board seat con deleghe) per orientare piano industriale, allocazione del capitale, M&A selettivo e successione. La proprietà familiare resta, la rotta diventa manageriale.
- Capitale paziente. Orizzonte 7–10 anni, uscite flessibili, incentivi legati a ROIC, cash conversion, qualità e sicurezza dei processi. L’IRR nasce da margini veri, non da arbitraggio di multipli.
- Managerializzazione e innovazione. Inseriamo CFO/COO di fascia alta, controllo di gestione, adozione dell’AI dove crea efficienza o nuovi ricavi; formazione dei successori.
- Aggregazioni funzionali. Buy‑and‑build solo dopo la messa in sicurezza dei fondamentali, integrando davvero sistemi, supply chain e pricing.
- Patti di territorio. Lavoro con ITS, competence center e banche locali per riattivare competenze e stabilizzare gli asset reali.”
Un capitalismo più largo e sostenibile
“Democratizzazione” dell’investimento: cosa significa in concreto per family office e investitori privati?
“Accesso più inclusivo a un’asset‑class storicamente riservata. Il nostro impianto riduce intermediazioni, allinea gli incentivi e consente di partecipare con ticket contenuti già nella fase di ricerca e structuring, beneficiando di un premio 1,5x–2,0x sul capitale di search che poi si converte in equity sul deal, oltre a diritti di priorità per entrare nello SPV. In pratica, spostiamo risparmio privato sull’economia reale con ritorni alti ma stabili perché fondati su cassa operativa e miglioramenti industriali”.
Costruzione di valore vs “estrazione” di valore: come evitate l’entropia del breve termine?
“Con stewardship, governance e capitale paziente. Gli investimenti con criteri di impatto mostrano performance competitive, minore rischio sistemico e maggiore resilienza. In sintesi: ritorni economici allineati e benefici sociali misurabili; è questo equilibrio che riduce l’entropia e protegge il valore nel tempo”.
Dove investire e quali obiettivi
LMF. Dove investirete in via prioritaria?
“In manifattura di precisione, beni di lusso e design, agro‑alimentare di qualità, servizi B2B abilitati dal digitale: filiere frammentate ma con identità forti, flussi ricorrenti e potenziale export. Qui il buy‑and‑build abilita sinergie operative, scalata dei margini e continuità generazionale con leadership professionale”.
Quali sono le metriche obiettivo su crescita e redditività?
“Target su aziende sane 3–50 mln di fatturato in industrie strategiche: EBITDA margin dal 5–10% al 15–20%; crescita ricavi 12–18% CAGR; ROIC >18–22% dal terzo anno; 1–5 acquisizioni mirate entro 5 anni per consolidare la filiera. Per gli investitori: 25–45% IRR, 4,0x–7,5x MOIC, coerenti con una strategia disciplinata e operativa”.
Un appello a investitori e istituzioni
Cosa chiede a investitori e istituzioni?
“Di sostenere il cambio di paradigma. Agli investitori: spostare una quota maggiore del portafoglio su capitale paziente che costruisce, non estrae — i ritorni ci sono e sono difendibili. Alle istituzioni: rendere scalabile la continuità d’impresa, premiando aggregazioni, piani di successione e professionalizzazione della governance. Parliamo della spina dorsale dell’economia: sostenerla significa proteggere PIL, occupazione e competenze — e far crescere l’Italia in modo competitivo e sostenibile.”
I numeri in breve
- PMI: >99% delle imprese; micro 95,13%. Familiari: 85%.
- Impiego: >76% dei lavoratori. PIL: 63% → ~€1,323 T su PIL ~€2,1 T.
- Ownership change (5 anni): ~630.000 imprese; piano di successione nel 14% dei casi; manifattura ~120.000.
- Valore a rischio senza interventi: fino a €380 mld; settori chiave €260,5 mld; erosione media ~1,8% PIL/anno su 10 anni.
- Obiettivi Askéon: margini 15–20%, 12–18% CAGR, ROIC >18–22%, IRR 25–45%, MOIC 4,0x–7,5x, orizzonte 7–10 anni (uscite flessibili).
Creare valore non è una bandiera etica contro il profitto: è il modo più efficiente per farlo durare. Riduce l’entropia del sistema economico perché ricostruisce capacità — nelle aziende, nelle filiere, nei territori — invece di consumarla. E oggi è l’unica strategia credibile per rimettere in moto il Paese senza sacrificare la sua identità manifatturiera. Se l’entropia cresce nei sistemi chiusi, la risposta è riaprire il circuito: immettere energia sotto forma di innovazione, governance e capitale paziente. È l’obiettivo della minoranza strategica di Askéon: sostenere le imprese familiari, spina dorsale dell’Italia, evitando il “comprare e rivendere” e garantendo la nostra reale capacità industriale. È più profittevole, più sostenibile, più giusto. E soprattutto è possibile. Intervista a cura di La Mia Finanza.

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