Outlook di fine anno
Storicamente, il periodo compreso tra ottobre e dicembre è stagionalmente favorevole per i mercati azionari. Per l’S&P 500, questi mesi rappresentano statisticamente il trimestre con i rendimenti medi più elevati. Negli ultimi 75 anni, in circa l’80% dei casi, il mercato azionario statunitense ha chiuso l’anno più in alto rispetto all’inizio di ottobre. Tuttavia, come sempre, guardare al passato non è una garanzia per il presente. Tre sviluppi chiave delineano lo scenario per l’ultima parte dell’anno, costituendo oggi la cornice entro cui si muovono i mercati:
Gli Stati Uniti verso un “capitalismo oligopolistico di Stato”
Il governo americano sta intervenendo massicciamente nell’economia, non solo attraverso dazi, ma anche tramite accordi commerciali, partecipazioni azionarie e attacchi costanti all’indipendenza della Federal Reserve. Finora, i mercati hanno interpretato queste tendenze in modo positivo, leggendole come un segnale di forza. Anche le pressioni sulla banca centrale sono state accolte con indifferenza da Wall Street: un taglio dei tassi d’interesse – come auspicato da Trump – potrebbe infatti fornire ulteriore carburante ai rialzi di breve periodo.
Tregua (ancora) sui titoli di Stato USA
La calma regna per ora sul mercato obbligazionario americano. Ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente se gli investitori dovessero convincersi che la Fed stia trascurando la stabilità valutaria. In tal caso, aumenterebbero le richieste di premi per il rischio più elevati – quindi rendimenti maggiori – sulle scadenze lunghe, con effetti negativi anche per i mercati azionari.
L’unico vero segnale di sfiducia: l’oro
Il rally del metallo prezioso riflette una crescente diffidenza nei confronti del governo statunitense e dell’indebitamento fuori controllo. Soprattutto le banche centrali straniere stanno accumulando riserve per controbilanciare il dollaro USA. L’oro ha già superato la soglia dei 4.000 dollari nell’ottobre scorso.
L’intelligenza artificiale continua a trainare i mercati
Nonostante i primi avvertimenti di “euforia irrazionale”, prevale l’idea che investire “troppo poco” nell’intelligenza artificiale sia più rischioso che farlo “troppo”. Le startup del settore – in primis OpenAI – raccolgono nuovi capitali a valutazioni sempre più elevate; i protagonisti del boom dei data center come Nvidia e Broadcom vengono celebrati a Wall Street; e anche i titoli di Microsoft, Alphabet, Meta o Oracle sono in crescita, grazie agli ingenti investimenti in chip finanziati dai loro generosi flussi di cassa. Sta emergendo così una sorta di economia circolare interna al settore tecnologico. Il momentum appare ancora solido e potrebbe spingere i mercati verso nuovi massimi. Tuttavia, il rally resta ristretto: al di fuori dei temi caldi come la difesa, il resto del mercato azionario rimane in ritardo.
In Europa lo slancio rischia di esaurirsi
In primavera si era intravista una nuova fiducia in Europa: l’allentamento della “regola del freno al debito” in Germania e la consapevolezza della necessità di investire massicciamente in sicurezza, infrastrutture e sovranità tecnologica avevano riportato il Vecchio Continente all’attenzione degli investitori internazionali. L’indice Stoxx Europe 600 aveva guadagnato nel primo trimestre, mentre le Borse USA arretravano. Tuttavia, oggi quel vantaggio si è completamente dissolto, al netto degli effetti valutari, e l’Europa rischia di scivolare fuori dal percorso di rilancio.
I piani di investimento pubblico non sono ancora accompagnati dalle necessarie misure di semplificazione burocratica e deregolamentazione; il mercato dei capitali europeo resta troppo piccolo e frammentato. Gli investitori istituzionali restano pronti a impegnarsi, attratti dalle valutazioni contenute e dal solido tessuto industriale nei settori del futuro. Ma manca ancora l’impulso decisivo verso la deregolamentazione, che potrebbe compensare il declino delle industrie tradizionali come quella chimica o automobilistica.

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