“Perché gli investitori non credono nell’Argentina”: un’accusa dell’Economist che trova eco e contrasti negli Stati Uniti
Non bastano un governo riformista e un supporto americano generoso: l’Argentina resta sotto la lente degli investitori, tra scetticismo operativo e aspettative reali

L’articolo pubblicato dall’Economist intitolato “Why investors still don’t believe in Argentina. Despite the best efforts of Donald Trump and Scott Bessent” osserva con chiarezza quanto, nonostante l’appoggio dell’amministrazione americana e un’agenda riformista ambiziosa sotto la guida di Javier Milei, gli investitori continuino a mantenere una distanza dalla realtà argentina.
Le ragioni dello scetticismo secondo l’Economist sono molteplici: dall’esposizione elevata al rischio politico, all’erosione della fiducia derivata da decenni di default e instabilità, fino alla gestione del cambio e delle riserve valutarie, che restano considerati elementi critici nel quadro macro. In particolare, il giornale segnala come “anche con il sostegno di Washington l’Argentina bruci i dollari a ritmi straordinari”.
La stampa finanziaria americana
Gli Stati Uniti, pur riconoscendo il potenziale argentino, mantengono un’analisi prudente. Per esempio, la testata economica dell’Institute of International Finance batimes ha pubblicato come “US backing won’t save Argentina without policy shift” ovvero “Il sostegno americano non salverà l’Argentina senza un cambio di politica significativo”.
Analogamente, Reuters segnalava che il segretario del Tesoro americano, Scott Bessent, ha offerto supporto ma ha precisato che “the United States ‘is not putting money’ in Argentina”, mettendo in evidenza che l’intervento americano non equivale a un investimento diretto su larga scala.
In sostanza, mentre l’Economist mette l’accento sul gap tra sforzi e realtà di mercato, la stampa USA evidenzia come il sostegno esterno non sia una panacea: serve che le riforme locali siano credibili e durature.
L’articolo dell’Economist ci offre una fotografia precisa: l’Argentina può avere tutti gli ingredienti per attrarre capitale, ma la fiducia degli investitori non si rigenera con una sola iniezione di sostegno esterno o con annunci di riforma. È un processo complesso che richiede consistenza, trasparenza e tempo.
Da un lato, il sostegno degli Stati Uniti può fungere da catalizzatore: mette una sorta di “marchio di credibilità” sul Paese. Dall’altro, se le misure di riforma mancano di concretezza o se il contesto politico mostra segnali di debolezza, l’effetto diventa effimero. Per gli investitori è infatti cruciale la sostenibilità del quadro istituzionale, la stabilità del cambio e la capacità di controllare le riserve.
Nel panorama europeo e globale, il caso argentino è un esempio emblematico del fatto che non basta avere risorse, potenziale o appoggi esterni: serve costruire una reputazione che duri. Gli operatori guardano non solo al “quando”, ma al “come”.
In conclusione, l’Argentina pur avendo vantaggi competitivi significativi resta sotto la lente di investitori prudenti: l’Economist ha ragione a titolare come ha fatto. Il vero test sarà nei prossimi trimestri, quando si capirà se la fiducia potrà davvero tornare.

LMF green
Mente e denaro
Sala Stampa