Italiani disillusi, ma non immobili: il Censis racconta la rassegnazione adattiva e la voglia di tornare a contare

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Il nuovo Rapporto Censis restituisce l’immagine di un Paese stanco, ma non spento. Un’Italia attraversata da una forma inedita di disillusione, che non esplode in rabbia né si traduce in conflitto aperto, ma si sedimenta in una quotidianità fatta di adattamento continuo, di rinunce silenziose e di piccoli accomodamenti. Il Censis parla esplicitamente di una “eternizzazione delle crisi”: economiche, sociali, geopolitiche, climatiche. Crisi che non arrivano più come eventi eccezionali, ma diventano lo sfondo permanente della vita collettiva.

In questo contesto, gli italiani sembrerebbero adattivi fino alla rassegnazione. Pare non credano più a svolte nette, a riforme risolutive, a promesse di cambiamento rapido. Si difendono abbassando le aspettative, ridimensionando i desideri, rinviando scelte cruciali: figli, casa, mobilità sociale. È una strategia di sopravvivenza, più che una scelta consapevole. Come osserva il Censis, non è apatia, ma una forma di realismo disincantato, che però rischia di diventare paralizzante.

Come però commenta Carmelo Ferraro direttore dell’Ordine degli Avvocati “La preoccupante fotografia del Censis non esaurisce il vero volto del Paese. E soprattutto di Milano. Perché, con Delpini, è dagli errori (e dall’impegno civico) che nascono nuovi inizi.” 

I commenti della stampa

La stampa italiana ha colto questo passaggio con toni diversi. Il Corriere della Sera parla di un Paese “che si abitua a tutto, anche all’idea di non migliorare”, mentre La Repubblica sottolinea il pericolo di una società che smette di immaginare il futuro e vive in una sorta di presente continuo, amministrato giorno per giorno. Il Sole 24 Ore legge questi dati come il riflesso di un patto implicito: stabilità minima in cambio della rinuncia a grandi ambizioni collettive.

Eppure, il Rapporto Censis non si ferma a questa diagnosi cupa. Tra le pieghe del dossier emerge un dato che molti rischiano di sottovalutare: una crescente voglia di rimettersi in gioco, di tornare a contare nello spazio pubblico, di partecipare. Non necessariamente attraverso i canali tradizionali della politica, ma in forme nuove: volontariato, iniziative civiche, impegno locale, reti informali. È una mobilitazione carsica, meno visibile, ma reale.

L’arcivescovo di Milano, Mario Delpini

Qui si inserisce la lettura dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che nei commenti al Rapporto ha parlato di una società “tentata dalla rassegnazione, ma non priva di desiderio”. Delpini ha messo in guardia dal rischio di normalizzare la crisi, trasformandola in destino: «Quando tutto diventa emergenza permanente, si perde la capacità di indignarsi e anche quella di sperare». Ma allo stesso tempo ha riconosciuto che, sotto la superficie, esiste una domanda di senso e di partecipazione che chiede di essere intercettata.

Secondo l’arcivescovo, la disillusione non va demonizzata, perché è anche il segno di una fine delle illusioni facili. Il problema nasce quando l’adattamento si trasforma in rinuncia alla responsabilità collettiva. Per questo Delpini invita istituzioni, corpi intermedi e comunità a non limitarsi alla gestione dell’esistente, ma a riaprire spazi di parola, di decisione e di corresponsabilità: «La speranza non è ottimismo ingenuo, ma la scelta di non sottrarsi».

Il Rapporto Censis, letto in questa chiave, racconta dunque un’Italia sospesa. Da un lato, una popolazione che ha imparato a convivere con l’instabilità, pagando il prezzo di un progressivo disimpegno emotivo. Dall’altro, una società che non ha del tutto rinunciato all’idea di contare, di incidere, di costruire pezzi di futuro, anche piccoli. Obiettivo, oggi, è trasformare questa energia latente in progetto collettivo, prima che la rassegnazione diventi irreversibile.