Oro, truffe e mercenari: i flussi illegali finanziano le minacce globali che colpiscono anche l’Europa

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Dall’estrazione illegale dell’oro in Africa alle truffe finanziarie che hanno colpito migliaia di risparmiatori europei, passando per mercati occidentali apparentemente legali: il caso del gruppo Wagner, la compagnia militare privata russa (PMC) diventata negli ultimi anni uno degli strumenti più controversi della proiezione di potere di Mosca all’estero, mostra come le economie criminali globali siano oggi profondamente integrate nel sistema economico internazionale.

Secondo diverse inchieste giornalistiche e stime citate dalla stampa internazionale, la Wagner avrebbe incassato oltre 2 miliardi di euro dall’estrazione illegale di oro dal 2022, in particolare in Paesi africani fragili come Mali, Sudan e Repubblica Centrafricana. Una parte significativa di questo oro, ripulito attraverso reti di intermediari e raffinatori, sarebbe poi finita nei mercati europei e occidentali, come hanno documentato Reuters e il Financial Times in più approfondimenti sul traffico di materie prime provenienti da zone di conflitto.

Ma l’oro non è l’unico canale di finanziamento. La stessa galassia che ruota attorno alla Wagner, spesso in coordinamento con il GRU, l’intelligence militare russa, è stata collegata anche a schemi di investimento fraudolenti su larga scala in Europa. È il caso di piattaforme come Juicy Fields e Recyclix, che hanno promesso rendimenti elevati legati a coltivazioni o progetti “green” e che, secondo le autorità europee, avrebbero truffato investitori per oltre 700 milioni di euro.

Come ha scritto Der Spiegel, questi schemi non erano episodi isolati, ma parte di una strategia più ampia di finanziamento ibrido, in cui attività criminali, disinformazione e operazioni geopolitiche si sovrappongono. Un modello che la stampa anglosassone definisce sempre più spesso “crime-as-a-service geopolitico”.

Un modello che si ripete

Il gruppo Wagner non è un’eccezione. Come sottolinea The Guardian, lo stesso schema si ritrova in gruppi terroristici islamisti, cartelli della droga e reti criminali transnazionali, che condividono almeno tre elementi chiave.

Primo: lo sfruttamento delle popolazioni vulnerabili del Sud globale, da cui vengono estratte risorse, oro, minerali, droga o forza lavoro, destinate ai mercati del Nord globale. Secondo: l’uso sistematico di frodi e truffe finanziarie, spesso digitali, condotte su scala industriale e rivolte in particolare ai Paesi più ricchi, dove il potenziale di guadagno è maggiore. Terzo: l’impatto diretto sulla sicurezza collettiva, perché questi flussi finanziari alimentano violenza, instabilità e conflitti.

Come osserva il Financial Times, il paradosso è evidente: “le economie avanzate finiscono per finanziare indirettamente le minacce che dichiarano di voler contrastare”.

Un problema anche europeo

Il fatto che parte dell’oro illegale finisca nei mercati europei e che le truffe colpiscano soprattutto cittadini UE mette in discussione l’efficacia degli attuali sistemi di controllo. Non si tratta solo di sicurezza internazionale, ma di integrità dei mercati finanziari, tutela dei consumatori e credibilità della regolazione europea.

Secondo Le Monde, l’Unione Europea rischia di giocare una partita di “whack-a-mole(playing whack-a-mole” significa affrontare problemi uno alla volta, in modo reattivo e frammentario, senza risolvere la causa strutturale) ovvero colpendo singoli schemi o reti senza affrontare il problema in modo sistemico. Chiudere una piattaforma fraudolenta o sanzionare un intermediario non basta se le stesse reti possono spostarsi rapidamente tra giurisdizioni, settori e strumenti finanziari.

La necessità di un approccio integrato

Il messaggio che emerge dalle inchieste internazionali è chiaro: servono cooperazione transfrontaliera e abbattimento dei silos. Forze dell’ordine, autorità di vigilanza dei mercati, regolatori finanziari e settore privato devono condividere informazioni e strumenti, superando una logica puramente nazionale o settoriale.

Come ha scritto Reuters, senza un coordinamento più stretto tra indagini finanziarie, controlli sulle materie prime e supervisione delle piattaforme di investimento, l’Europa continuerà a inseguire le crisi invece di prevenirle.

Il caso Wagner mostra con crudezza una verità scomoda: spesso siamo noi stessi a pagare come consumatori, investitori o acquirenti di materie prime, finendo ad armare e finanziare chi mette a rischio la nostra sicurezza. Contrastare queste minacce non significa solo repressione militare o sanzioni geopolitiche, ma anche pulizia dei mercati, trasparenza finanziaria e responsabilità condivisa.

Senza una strategia globale e integrata, avvertono molti osservatori internazionali, il rischio è continuare a tappare falle mentre il sistema resta vulnerabile. E il prezzo, ancora una volta, lo pagano le persone.