Natixis Investment Managers – Global Institutional Investor Survey

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Outlook 2018: secondo l’indagine di Natixis Investment Managers gli investitori istituzionali temono la volatilità, le bolle su alcune asset class e la fragilità dei mercati. Inoltre, ritengono che lo scenario attuale favorisca la gestione attiva.

Secondo i risultati della nuova indagine pubblicata da Natixis Investment Managers, i due terzi degli investitori istituzionali a livello globale (65%) si aspettano che la bolla su alcune asset class avrà un impatto negativo sulle loro performance del 2018 e tre investitori su quattro (75%) ritiene che lo scenario di mercato attuale favorisca la gestione attiva, tanto che le posizioni passive sono diminuite per il terzo anno consecutivo.

Per posizionare i portafogli in vista della volatilità attesa a seguito dell’avvio da parte delle banche centrali della graduale riduzione degli stimoli monetari in vigore a partire dall’inizio della crisi finanziaria, gli investitori istituzionali stanno incrementando le allocazioni su asset meno tradizionali, tra cui private equity, private debt, infrastrutture e real estate, in quanto cercano alternative alle obbligazioni e rendimenti più elevati in un mercato affollato.

“Gli investitori istituzionali a livello globale diffidano delle fragili condizioni di mercato, dai prezzi distorti degli asset e dai rischi sistemici causati dai movimenti delle banche centrali e dalla crescente popolarità degli investimenti passivi – afferma Antonio Bottillo, Managing Director di Natixis Investment Managers Italia -, e continuano a rivolgersi alla gestione attiva per gestire i mercati attuali. Hanno fiducia nel fatto che il loro portafogli siano costruiti per resistere alle future condizioni del mercato, ma avvertono che gli investitori individuali non sono coscienti dei rischi sistemici del mercato derivanti dalle strategie passive”.

Natixis ha intervistato i decision maker di 500 società di investimento istituzionali i quali, in totale, gestiscono oltre 19 trilioni di dollari per fondi pensione, governi, assicurazioni e altre istituzioni. L’indagine rivela che il 59% ritiene che la volatilità sia stata eliminata in modo artificiale dai flussi verso strategie di investimento passive. Oltre la metà (57%) crede che l’aumento degli investimenti passivi stia distorcendo il prezzo relativo dei titoli e stia creando rischi sistemici di mercato (63%) di cui, secondo il 72% degli intervistati, gli investitori individuali non sono consapevoli.

Navigando i mercati attivi

La preferenza per le strategie attive sta aumentando tra gli investitori istituzionali, con il 76% convinto che lo scenario attuale di mercato sia probabilmente più favorevole a una gestione attiva del portafoglio.

Confrontando gli approcci di investimenti passivi e attivi, il 57% afferma che i gestori attivi sovraperformano i gestori passivi nel lungo termine. Tre quarti degli intervistati (75%) affermano che le gestioni attive sono più adeguate per accedere alle opportunità sui mercati emergenti e una percentuale simile (74%) dichiara che i gestori attivi offrono una miglior esposizione alle asset class decorrelate.

“Gestire il rischio di downside sarà la vera sfida del 2018, ma il nuovo anno dovrebbe anche essere visto come un’opportunità, dato che la volatilità è in grado di spingere i ritorni per chi è capace di trarne vantaggio – continua Antonio Bottillo -. Tuttavia le istituzioni sprovviste di un portafoglio durevole e veramente diversificato rischiano di dover reagire alla volatilità e alle correzioni del mercato, piuttosto che beneficiare di questi movimenti. I mercati sembrano pronti a un 2018 più vivace e volatile, e quelli più attivi richiederanno quindi un approccio active thinking”.

Bolle obbligazionarie vs. volatilità azionaria

I tre quarti delle istituzioni (77%) ritengono che un periodo prolungato di bassi tassi di interesse abbia portato alla creazione di bolle. Inoltre, guardando in prospettiva, il 62% degli investitori istituzionali considera il rialzo dei tassi di interesse come la principale preoccupazione del 2018, potenzialmente in grado di innescare una correzione dei prezzi obbligazionari.

Secondo l’indagine, il rischio bolla rivaleggia con quello connesso agli eventi geopolitici – una preoccupazione, questa, che interessa il 74% degli intervistati a seguito dei recenti eventi – e precede il rischio legato all’aumento dei tassi di interesse (61%) nella classifica dei fattori che impatteranno maggiormente in modo negativo le performance dei propri investimenti nel 2018.

Gli investitori istituzionali ritengono che il mercato obbligazionario sia l’asset class che più probabilmente incorrerà nel rischio bolla, con una percentuale pari al 42% a livello globale. Questo rappresenta quasi il doppio della percentuale di chi si attende una bolla del mercato immobiliare (23%) e sono addirittura paragonabili al 64% degli investitori che vede una bolla sul Bitcoin.

“Con tutti gli investimenti obbligazionari soggetti alla crescente possibilità di un aumento sostenuto dei tassi di interesse a livello globale, molti investitori istituzionali stanno iniziando a guardare alle valutazioni attuali del reddito fisso con sospetto – prosegue Antonio Bottillo -. Conseguentemente, gli investitori stanno sempre più cercando soluzioni di investimento alternative e decorrelate che possano aiutarli ad affrontare le sfide dei mercati nel 2018”.

Una percentuale importante degli investitori istituzionali (30%) vede una bolla anche dell’azionario. Una rinnovata volatilità (piuttosto che una sostenuta correzione) dovrebbe essere la principale caratteristica dei mercati azionari nel 2018: un significativo 78% delle istituzioni si attende un rialzo della volatilità azionaria nel corso del prossimo anno. Considerando l’assenza di volatilità nel corso del 2017, la maggioranza degli investitori istituzionali (59%) ritiene che questo sia un fenomeno insostenibile e, di fatto, causa di serie preoccupazioni.

Caccia alla diversificazione

Gli investitori istituzionali stanno riponendo grande fiducia sia negli investimenti azionari sia negli investimenti decorrelati, così da poter affrontare le seguenti sfide di mercato:

  • L’esposizione azionaria è aumentata al 37,1% (rispetto al 33,8% nel 2016), mentre si è assistito a un leggero declino delle allocazioni obbligazionarie, oggi pari al 33,9% rispetto al 35% nel 2016.
  • Riflettendo potenzialmente i timori di una bolla delle valutazioni obbligazionarie, un terzo degli investitori istituzionali (33%) sta diminuendo il volume del debito high yield corporate detenuto, mentre un terzo (26%) sta diminuendo le proprie posizioni sui governativi.
  • Circa i due terzi (64%) dichiarano che l’obbligazionario non svolge più il suo ruolo tradizionale di gestione del rischio nei portafogli, mentre il 60% delle istituzioni ritiene oggi che gli asset tradizionali, in generale, siano troppo correlati per essere una fonte distintiva di rendimento.
  • Per contro, il 78% afferma che un incremento degli investimenti alternativi è un modo efficiente di gestire il rischio e circa la stessa percentuale è addirittura convinta che questi siano essenziali alla diversificazione del rischio in portafoglio (70% contro il 67% dello scorso anno).
  • All’interno degli alternativi, vi è anche interesse per gli investimenti illiquidi, tanto che il 74% ritiene che i potenziali ritorni rendano accettabile il rischio associato a questi investimenti su determinati orizzonti temporali. Il private equity è il principale esempio, dove il 39% degli istituzionali dichiara di aver aumentato i propri investimenti e i due terzi (67%) che si ritengono soddisfatti dalla performance dei loro portafogli.
  • In termini di settori: il 45% delle istituzioni si aspetta che il settore della tecnologia sovraperformi il mercato nel corso del 2018 rispetto a qualunque altro settore, seguito dall’healthcare (44%), dal settore della difesa e aereospaziale (43%) e dai finanziari (41%).

natixis global institutional investor survey

In diretta competizione con l’obbligazionario, oltre tre quarti degli investitori istituzionali affermano oggi che gli investimenti di private debt offrono elevati rendimenti adeguati al rischio rispetto agli strumenti obbligazionari (in aumento dal 73% dello scorso anno), e il 36% delle istituzioni sta attualmente incrementando le proprie posizioni in questa asset class.

Sta emergendo anche una view a lungo termine sulla sostenibilità dei rendimenti. Tre istituzioni su cinque (60%) affermano che adottare pratiche ESG (Environmental, Social e Governance) diventerà uno standard per tutti i gestori entro i prossimi cinque anni. Questa implementazione sembrerebbe essere fatta sia per scopi pratici sia atici. Il 59% pensa si possa trovare alpha nell’investimento ESG.

“Gli investitori istituzionali di tutto il mondo – conclude Antonio Bottillo -, si stanno preparando per affrontare le possibili bolle, e le relative correzioni, così come i rialzi dei tassi e l’aumento della volatilità. Al di là della tradizionale interazione tra obbligazionario e azionario, stiamo anche osservando come molti investitori istituzionali cerchino rifugio nelle strategie di investimento alternative, al fine di proteggere e diversificare i loro portafogli, generando anche rendimenti soddisfacenti. Invece che assistere alla lunga caccia al rendimento, stiamo vedendo emergere un’analisi dei portafogli e una nuova ricerca di diversificazione”.