Premi di produttività e previdenza complementare

Roberto Carli -

Uno dei profili di maggiore criticità del nostro sistema economico è rappresentato dalla necessità di rilanciare la produttività del lavoro. In questa prospettiva il nostro legislatore individua come strumento di intervento anche il welfare aziendale , soprattutto se strutturato su base concertativa.

In particolare, come ricorda un interessante approfondimento di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e Mefop la legge di bilancio 2017 ha modificato la manovra finanziaria dell’anno precedente, che aveva introdotto la possibilità per i datori di lavoro del settore privato di erogare premi di risultato. Fin dalla prima versione della norma, il premio permetteva, a particolari condizioni (sottoscrizione e deposito di un accordo sindacale di II livello e rilevazione di un incremento oggettivo di specifici parametri economici), l’applicazione di un regime fiscale di favore per i dipendenti che ne beneficiassero (aliquota sostitutiva del 10% in luogo della tassazione ordinaria su base progressiva Irpef).

La norma di riferimento prevedeva poi la facoltà, prevista dall’accordo e riservata agli stessi dipendenti, di optare per la conversione di questo specifico premio detassato in quello che è comunemente denominato ‘welfare aziendale’, vale a dire la fruizione di beni e servizi in natura, di cui al comma 2 e all’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 51 del TUIR (vacanze studio, servizi di baby-sitting, assistenza agli anziani o disabili etc). Nel caso di specie, il valore normale di questi fringe benefit, conformemente alla previsione del legislatore fiscale dell’art. 51 del TUIR, non avrebbe incrementato l’imponibile fiscale e previdenziale (per effetto del principio di armonizzazione della base imponibile ex D.Lgs. n.314/1997), con un risparmio fiscale lato dipendente e contributivo anche per il datore di lavoro.

Attingendo ad una interessante ricerca condotta da Censis e Eudaimon tra le prestazioni più attese dai lavoratori prevalgono quelle afferenti all’area della salute e della sanità (53,8% dei lavoratori), seguite da quelle relative alla previdenza integrativa (33,3%), poi buoni pasto e mensa aziendale (31,5%), trasporto da casa al lavoro (ad esempio, abbonamento per i trasporti pubblici: 23,9%), convenzione per acquisti convenienti presso negozi e buoni acquisto (21,3%), asilo nido, campus, centri vacanze, rimborsi spese scolastiche per i figli (20,5%).

Concentrando l’attenzione sulla previdenza integrativa va sottolineato come la normativa, in caso di conversione del premio di risultato in contribuzione aggiuntiva a fondi pensione, è particolarmente favorevole. Andando ad un livello di maggiore specificità si prevede la completa esenzione  sia in fase di versamento sia in fase di prestazioneSe infatti il lavoratore dipendente decida di destinare, in tutto o in parte, l’incentivo alla previdenza complementare, i relativi contributi non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, anche se eccedenti il limite ordinario di 5.164,57 Euro annui, così come questi contributi non concorreranno a formare la parte imponibile delle prestazioni pensionistiche complementari.

Per quel che riguarda gli oneri contributivi si prevede la non rilevanza ai fini previdenziali del premio di produttività convertito in contributo a fondo pensione con un risparmio per il dipendente del 9,19 per cento mentre il datore di lavoro è sgravato del 23,81 con invece, salve diverse indicazioni da parte dell’INPS, il versamento del 10 per cento di contributo di solidarietà.