Dopo diversi mesi di incertezza, le prospettive di crescita globale iniziano finalmente a volgere al bello

Adrien Pichoud -

In un contesto di crescita ragionevolmente stabile negli Stati Uniti e di ridotto potenziale di apprezzamento del dollaro, dopo il dietrofront della Fed verso una politica accomodante, il quadro macroeconomico dei mercati emergenti è sensibilmente migliorato, ad esclusione di pochi paesi ancora colpiti dagli effetti di politiche economiche poco ortodosse come Turchia e Argentina.

L’affermazione di questa dinamica positiva nell’universo emergente fa da contraltare all’attuale debolezza ciclica che si manifesta nelle economie sviluppate. Nell’eurozona l’attività industriale è in stallo dallo scorso anno e i consumi interni sono i soli a sostenere la crescita del PIL, in attesa di segnali di una svolta ciclica ancora tutti da vedere. Anche l’economia statunitense sta perdendo slancio, in parte per l’impatto della crescita mondiale più debole e in parte per l’inasprimento dei dazi commerciali. Il principale elemento di freno alla crescita statunitense viene tuttavia dall’esaurimento degli effetti della leva fiscale, che andrebbe letto come un naturale sviluppo e non come segnale di una recessione imminente.

Crescita, Inflazione e Politica Monetaria

Fra le economie emergenti e quelle sviluppate, emergono ora nette divergenze in termini di dinamiche di crescita. Nei paesi sviluppati spiccano inoltre significative differenze fra il settore industriale orientato all’export e quello dei servizi orientato al mercato interno.

L’inflazione resta generalmente contenuta e nei mercati sviluppati sta addirittura rallentando. L’andamento dei prezzi del petrolio potrebbe favorire nei prossimi mesi una certa volatilità degli indici rappresentativi dell’inflazione complessiva.

Tutte le maggiori banche centrali dei paesi sviluppati adottano ora un approccio generalmente accomodante, senza alcuna prospettiva di normalizzazione nel prossimo futuro.

Esame dell’economia globale

L’economia statunitense continua a registrare un rallentamento del ritmo di crescita, che abbassa e avvicina il suo tasso di espansione al suo potenziale del 2% circa. Nel contesto di debolezza delle dinamiche globali e di rendimenti piatti in USD, tale rallentamento ha fatto paventare il rischio di una recessione più pronunciata. Considerando tuttavia l’esaurimento degli effetti dello stimolo fiscale a sostegno di investimenti e consumi, i recenti sviluppi vanno letti come un naturale “atterraggio morbido” dopo un 2018 sovralimentato. I catalizzatori della domanda interna restano molto vivaci e quest’anno, grazie alla stabilità e alla visibilità che caratterizza oggi i tassi e le condizioni di finanziamento, l’economia USA dovrebbe continuare a espandersi a ritmi del tutto dignitosi, seppur non straordinari.

La componente industriale e ciclica dell’eurozona continua a mostrarsi debole e priva di slancio dopo un pessimo 2018. Tuttavia, i consumi si confermano stabili e finora appena sfiorati da questa debolezza congiunturale. La disoccupazione è ancora in calo, la fiducia dei consumatori e nel settore dei servizi rimane elevata e la domanda interna ha contribuito nel 1° trimestre alla ripresa nella crescita del PIL. In una cornice di aspettative favorevoli sulla crescita globale, malgrado il persistere di incertezze politiche, le previsioni sull’eurozona rimangono positive. Per il 2019 si prevede una crescita del PIL in linea con il suo potenziale o leggermente superiore. Analoga divergenza fra i settori esterni e interni è riscontrabile anche in Giappone, con lo stesso impatto sulle previsioni di crescita. Esistono poche possibilità di un’accelerazione straordinaria, ma anche pochi margini di un deterioramento più ampio e profondo dell’attività economica. Con un’inflazione decisamente sottotono, le banche centrali adottano giustamente una politica attendista e mantengono invariate le condizioni di finanziamento accomodanti.

Economie emergenti

Una volta archiviati i prossimi appuntamenti elettorali, molti importanti paesi emergenti dovrebbero beneficiare anche della stabilità politica. Le uniche note stonate vengono dalle economie afflitte da incertezze politiche, da vecchie politiche economiche deficitarie e dall’assenza di risposte credibili per affrontare la minaccia di squilibri interni ed esterni, ad esempio Turchia, Argentina e Venezuela.

Allocazione in portafoglio

Nella fase attuale, non siamo propensi ad aumentare troppo il livello di rischio dei portafogli aumentando le azioni. Abbiamo invece rafforzato il loro livello di ciclicità e ridotto la difesa in termini di ripartizione settoriale e regionale.

Tra i mercati azionari, promuoviamo al grado di “lieve propensione” l’eurozona, per rafforzare la ciclicità dell’allocazione azionaria al fine di beneficiare di un probabile miglioramento delle dinamiche di crescita, e i mercati emergenti. In parallelo, abbiamo abbassato il giudizio sul Regno Unito, viste le nuove incertezze sulla Brexit e considerato il profilo difensivo delle azioni britanniche rispetto alle omologhe europee. In termini di settori, abbiamo sottopesato l’immobiliare e le utility, settori difensivi che riteniamo non beneficeranno a breve di un’ulteriore riduzione dei tassi d’interesse e che potrebbero risentire di una rotazione verso posizioni più rischiose e verso ciclici e finanziari.

Sul versante obbligazionario, preferiamo i titoli di Stato con rendimenti reali a quelli nominali e le obbligazioni dei mercati emergenti in valuta forte a quelle in valuta locale, e confermiamo la nostra “lieve avversione” verso i segmenti del credito investment grade e high yield.

Abbiamo promosso le obbligazioni in valuta forte sudafricane e indonesiane a “lieve propensione”, poiché entrambe offrono interessanti livelli di valutazione.
In termini di valute, confermiamo la “lieve preferenza” per lo yen giapponese nella parità con il franco svizzero che, a margine, ha perso la sua qualifica di bene rifugio sulla scia dell’orientamento accomodante della politica monetaria operata dalla Banca nazionale svizzera. La sterlina britannica è scesa a una valutazione di “lieve avversione” nella parità con il dollaro USA a causa degli sviluppi meno favorevoli e delle inattese lungaggini della Brexit, oltreché per il rischio crescente di elezioni generali nel breve termine.

Manteniamo infine una “lieve propensione” per l’oro, date le sue caratteristiche di diversificazione nel contesto attuale di avversione al rischio.


Adrien Pichoud – Head of Multi-Asset, Chief Economist – SYZ Asset Management