Reddito fisso globale: è il momento di adottare un approccio vigile e agile

Gene Tannuzzo -

Nell’arco di appena 12 mesi, i mercati sono passati dal prevedere un aumento dei tassi all’aspettarsi una loro diminuzione. In termini generali, ciò significa che il 2019 dovrebbe essere un anno favorevole per il reddito fisso. Ma gli investitori si trovano a camminare sul filo del rasoio e devono operare una distinzione tra le strategie obbligazionarie.

Un anno è un lungo periodo di tempo sui mercati finanziari, e gli ultimi 12 mesi ne sono un ottimo esempio.

L’anno scorso di questi tempi regnava un clima di ottimismo. Molti economisti ritenevano che le principali economie mondiali fossero destinate a un periodo di crescita globale sincronizzata. Oggi, invece, ci si attende un deciso rallentamento.

Nell’aprile 2018 il Fondo monetario internazionale (FMI) prevedeva che nel 2019 l’economia mondiale avrebbe registrato una crescita del 3,9%, ma nel corso di questo mese ha ridotto tale proiezione al 3,3%. Secondo l’FMI, nella seconda metà dello scorso anno il tasso di espansione globale è sceso al 3,2% dal 3,8% del primo semestre.

Non si scorgono ancora indicazioni convincenti di una stabilizzazione del rallentamento in Cina. Intanto Argentina e Turchia, che avevano chiuso il 2017 all’insegna di una robusta espansione, sono scivolate in recessione e costituiscono motivo di grave apprensione.

Anche nell’eurozona si osservano segnali preoccupanti. L’economia italiana è già interessata da una fase recessiva e quella tedesca è pericolosamente vicina a entrarvi. Un anno fa alcuni economisti esprimevano timori riguardo a uno stallo della crescita dell’eurozona, dopo la solida espansione del 2,3% registrata nel 2017, la migliore in un decennio. In pochi, tuttavia, prevedevano qualcosa di simile a una recessione, specialmente in Germania, la locomotiva d’Europa.

A causa di questo deterioramento del quadro generale, le principali banche centrali mondiali sono state costrette cambiare orientamento. In effetti, negli ultimi 12 mesi hanno fatto dietrofront.

Un anno fa la Federal Reserve aveva avviato un ciclo di inasprimento che sembrava destinato a proseguire per qualche tempo. Alla fine dello scorso anno la Fed prevedeva ancora due rialzi di un quarto di punto nel corso del 2019. Oggi, per contro, prevede tassi immutati per quest’anno e un solo aumento nel 2020.

Analogamente, un anno fa molti economisti si aspettavano che la Banca centrale europea sarebbe oggi stata in procinto di alzare i tassi. Invece il mese scorso l’istituto di Francoforte ha riavviato le sue operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (TLTRO), indicando che non aumenterà i tassi prima del 2020.

Inoltre, molte banche centrali dei mercati emergenti stanno tagliando i tassi in una brusca inversione di tendenza rispetto al 2018.

Aspettative mutate

Le autorità monetarie si sono dunque rese protagoniste di un deciso cambiamento di rotta. Quindi, se siete in attesa del prossimo ciclo di inasprimento globale, non trattenete il fiato.

Questo mutamento globale era stato trainato dalla Fed, che aveva fatto da apripista alle principali banche centrali mondiali. In assenza di un rialzo dei tassi nel corso di quest’anno, nel 2020 la Federal Reserve e gli altri grandi istituti di emissione, come la Bank of England, la BCE e la Bank of Japan, dovrebbero evitare ulteriori inasprimenti.

Pertanto, il prossimo ciclo di politiche restrittive a livello globale – che era all’orizzonte un anno fa – sembra adesso rinviato di almeno 12-18 mesi. Ma anche questo non è certo.

Ciò che è chiaro è che le banche centrali hanno sempre maggiori difficoltà ad assolvere al compito di controllare l’inflazione. Consideriamo la Fed e la sua capacità di mantenere l’inflazione di fondo (core) in linea con il target del 2%. L’analisi dimostra che nel corso degli anni ‘90 la banca centrale statunitense ha conseguito questo obiettivo d’inflazione nel 69% dei casi. Negli anni 2000 il target d’inflazione è stato rispettato nel 43% dei casi. Ma negli ultimi 10 anni, sulla scia della crisi finanziaria, la Fed ha raggiunto l’obiettivo d’inflazione core solo nel 5% dei casi (Figura 1).

 

Threadneedle reddito fisso globale e il momento di adottare un approccio vigile e agile 1

 

Fattori strutturali mantengono i prezzi contenuti

Che cosa succede dunque? Questa difficoltà nel controllare l’inflazione suggerisce la presenza di alcuni fattori strutturali che mantengono i prezzi contenuti. Uno di questi è l’alto livello di indebitamento.

A partire dalla crisi finanziaria si è registrato un continuo aumento dei livelli di debito – sia pubblico che privato – in quanto i prenditori hanno approfittato a piene mani del basso costo del denaro. Chiaramente l’eccesso d’indebitamento incide in modo negativo sulla spesa e quindi sull’inflazione.

Un altro fattore strutturale è costituito dalle dinamiche demografiche, e soprattutto dalla minore propensione alla spesa degli anziani. L’invecchiamento della popolazione è particolarmente visibile nei paesi europei core, in Giappone e persino in Cina, seguiti a breve distanza dagli Stati Uniti.

A offuscare il quadro contribuisce anche l’azione di stimolo senza precedenti esercitata tramite i programmi di quantitative easing (QE) (Figura 2).

 

Threadneedle reddito fisso globale e il momento di adottare un approccio vigile e agile 2

 

All’indomani della crisi finanziaria le misure di QE a livello globale hanno contribuito a scongiurare la deflazione, rafforzando l’impatto di tagli consistenti dei tassi d’interesse. Tuttavia, in seguito al loro progressivo abbandono, questi programmi hanno finito per esercitare l’effetto opposto, intensificando gli aumenti dei tassi.

I rialzi dei tassi effettuati dalla Fed a partire dal 2015 sono stati relativamente modesti e graduali in termini storici. Tuttavia, l’analisi della Federal Reserve Bank of Atlanta dimostra che, tenendo conto anche del ridimensionamento del bilancio della banca centrale, la stretta monetaria che ha avuto luogo durante quest’ultimo ciclo di inasprimento negli Stati Uniti è di fatto maggiore di quella registrata nel corso di ognuno dei quattro cicli precedenti.

Il QE è stato chiaramente una nuova esperienza per tutti, anche per le banche centrali, e il suo impatto complessivo è ancora sconosciuto. Ma un’altra tessera del puzzle potrebbe risiedere nella capacità previsionale di strumenti di misurazione standard tradizionali come i dati dei mercati finanziari ed economici.

In un discorso pronunciato all’inizio dell’anno, Raphael Bostic, presidente della Fed di Atlanta, ha parlato di un disallineamento tra molti di questi indicatori e “le informazioni ‘dal basso’ provenienti dalle imprese e dagli investitori”. Mentre le aziende segnalavano “un aumento dell’incertezza e timori per la situazione economica”, “i dati economici aggregati” continuavano a “dipingere un quadro solido”, ha affermato Bostic.

Ciò non fa che complicare il lavoro delle banche centrali. Certamente le autorità monetarie dovrebbero prestare e in effetti prestano sempre maggiore attenzione alla ricerca e alle indagini sulle imprese operanti sul campo, oltre che agli indicatori economici e finanziari.

Quattro presupposti per un nuovo rialzo dei tassi

Indipendentemente da tali fattori, riteniamo che debbano essere soddisfatte quattro condizioni economiche e finanziarie prima che le banche centrali possano prendere in considerazione un nuovo aumento dei tassi. Peraltro, i tempi e i modi del soddisfacimento di queste condizioni avranno implicazioni di rilievo per i mercati obbligazionari globali e per le strategie d’investimento a reddito fisso.

In primo luogo, bisognerà attendere una stabilizzazione della crescita economica, specialmente in Cina, nei paesi europei core e negli Stati Uniti. Solo quando l’espansione smetterà di rallentare l’aumento dei salari inizierà ad alimentare l’inflazione dei prezzi al consumo. Con la crescita mondiale ancora in frenata, il punto minimo del ciclo attuale sembra ancora lontano; e finché non l’avremo raggiunto, i tassi non ricominceranno a salire.

Il secondo presupposto è la presenza di condizioni finanziarie accomodanti. Alla fine del 2018 la volatilità sui mercati ha provocato un ampliamento degli spread creditizi e una brusca flessione dei mercati azionari. Di conseguenza, il costo dell’indebitamento per le famiglie e le imprese è aumentato, e la loro propensione a investire è contestualmente calata. Nonostante il miglioramento nel primo trimestre del 2019, la contrazione degli spread creditizi e il rialzo dei mercati azionari dovranno essere sostenuti per dare impulso all’economia attraverso condizioni più favorevoli all’indebitamento e agli investimenti.

Gli spread delle obbligazioni statunitensi con rating B, ad esempio, si aggirano intorno al 4%, un livello di poco inferiore alle medie di lungo periodo. Tuttavia, a fronte di tassi d’insolvenza molto più bassi che nel recente passato, riteniamo che i differenziali dovranno restare contenuti affinché i tassi d’interesse possano tornare ad aumentare.

In terzo luogo, servono indicazioni certe che il significativo ridimensionamento dei bilanci delle banche centrali non produca ricadute di rilievo. Ci vorrà tempo per assicurarsi che il ritiro dello stimolo monetario non abbia un impatto negativo sui mercati.

Infine, l’inflazione dovrà risalire sopra il 2% per un periodo prolungato, probabilmente per un paio di trimestri. Questo sviluppo sembra più probabile negli Stati Uniti, dove l’inflazione si attesta attualmente all’1,9%, piuttosto che nell’eurozona, dove rimane ferma all’1,5%.

Quel che è evidente è che nel corso dell’ultimo anno sono cambiate le carte in tavola per le banche centrali, e soddisfare queste quattro condizioni è diventato più, e non meno, impegnativo. Riteniamo dunque che dovranno passare ancora diversi trimestri prima che le autorità monetarie possano persino prendere in considerazione un nuovo inasprimento monetario.

Un anno favorevole per il reddito fisso

Quali sono le implicazioni di tutto questo per le strategie obbligazionarie? In termini generali, il 2019 dovrebbe essere un anno favorevole per il reddito fisso, data la stabilità dei tassi d’interesse privi di rischio. Ma gli investitori si trovano a camminare sul filo del rasoio. Se troppo debole, la crescita rischia di pesare sui redditi dei consumatori e sui profitti delle imprese; e quando infine ricomincerà ad aumentare, innescherà il prossimo ciclo di inasprimento. Entrambi gli scenari si dimostreranno sfavorevoli per alcune strategie obbligazionarie.

Vista la previsione di un continuo rallentamento della crescita nel corso di quest’anno, crediamo che non sia un buon momento per mantenere un’esposizione significativa al mercato high yield. Quale regola generale, almeno negli Stati Uniti, le obbligazioni ad alto rendimento hanno bisogno di una crescita annua del 3% circa per evidenziare un buon andamento.

Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno registrato il miglior tasso di espansione annuo in nove anni di crescita ininterrotta, grazie anche agli sgravi fiscali voluti dal presidente Donald Trump. Di conseguenza, il segmento high yield ha registrato un’ottima performance fino al terzo trimestre del 2018, in quanto la crescita è rimasta sostenuta. Tuttavia, con il deterioramento delle prospettive di espansione, il comparto dell’alto rendimento è stato penalizzato.

Gli investitori dovrebbero esercitare un’analoga cautela sui titoli high yield nel 2019, poiché il rallentamento della crescita metterà a dura prova alcuni settori e regioni. In un contesto di espansione positiva ma contenuta, preferiamo invece il debito investment grade, che tende a dare buoni risultati in queste condizioni.
Quando inizierà il prossimo ciclo di inasprimento globale si renderà necessaria una prudenza simile, poiché le aziende più indebitate avranno maggiori difficoltà in tale scenario.

In presenza di un ciclo coordinato, gli investitori dovrebbero considerare la possibilità di spostare l’esposizione verso i paesi che sono più vicini alla fine del rispettivo ciclo di inasprimento. Ciò comporterà, con ogni probabilità, una rotazione dalle obbligazioni investment grade europee a quelle statunitensi.

Quanto alle banche centrali, prevediamo che nel 2019 i tassi d’interesse nei principali mercati mondiali rimarranno stabili. Nello scenario più favorevole per la crescita, il prossimo ciclo di rialzi dei tassi avrebbe inizio nel primo trimestre del 2020, ma potrebbe senz’altro cominciare più tardi. Se invece la crescita continuasse a indebolirsi, alcuni istituti di emissione, in particolare la Fed, potrebbero decidere di tagliare i tassi nel 2020 invece di aumentarli.

Ciò che è chiaro è che il tasso di espansione non ha ancora toccato un minimo e che i tassi d’interesse non ricominceranno a salire finché tale minimo non sarà raggiunto.

Quest’anno cercheremo dunque indicazioni di una ripresa degli investimenti aziendali e dell’attività industriale, entrambi frenati dai timori di una guerra commerciale globale. Un segnale incoraggiante, ad esempio, proverrebbe da una stabilizzazione o persino da un rimbalzo nel terzo trimestre dei dati sul trasporto aereo di merci, che sono in calo da oltre un anno.

Ma a fronte dei molti rischi e delle molte incertezze che ancora rimangono, soprattutto gli investitori nei mercati del reddito fisso dovranno adottare un approccio vigile e agile.


Gene Tannuzzo – Vice responsabile reddito fisso globale – Columbia Threadneedle Investments