Economia USA. Crollo delle assunzioni: secondo Moody’s Analytics ci sono segnali di recessione all’orizzonte
Mercato del lavoro in frenata, inflazione persistente e politiche restrittive: gli Stati Uniti rischiano una nuova fase di contrazione
Dagli ultimi dati macroeconomici emergono segnali chiari: l’economia statunitense sta attraversando una fase di rallentamento che potrebbe preludere a una recessione tecnica nei prossimi mesi. A lanciare l’allarme è Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics, secondo cui “l’economia è sull’orlo della recessione”, come dichiarato in un post pubblicato pochi giorni fa.
Il dato più preoccupante riguarda il mercato del lavoro, da sempre indicatore anticipatore dei cicli economici. A luglio sono stati creati solo 73.000 nuovi posti di lavoro, a fronte di una previsione di circa 100.000. Ancora più allarmanti sono le revisioni retroattive: secondo il Bureau of Labor Statistics, le assunzioni di maggio sono state corrette da 144.000 a soli 19.000 posti, mentre quelle di giugno da 147.000 a 14.000 (fonte: BLS Jobs Report – July 2025). La media degli ultimi tre mesi si attesta così a 35.000 nuove assunzioni mensili, il livello più basso dal 2020.
Diminuzione della forza lavoro e domanda interna debole
Zandi sottolinea che dietro la tenuta apparente del tasso di disoccupazione, stabile tra il 4% e il 4,2%, si cela una contrazione della forza lavoro attiva, aggravata da un calo di oltre 1,2 milioni di lavoratori stranieri negli ultimi sei mesi a causa delle restrizioni migratorie. La minore disponibilità di manodopera ha generato una stagnazione della partecipazione al lavoro, con effetti diretti sulla produttività e sulla capacità delle aziende di espandersi.
Nel frattempo, la spesa dei consumatori, motore dell’economia statunitense, sta rallentando. Al netto delle esportazioni e degli investimenti pubblici, la domanda interna si mostra fiacca, complicando ulteriormente la posizione della Federal Reserve, che si trova a dover bilanciare l’aumento dei prezzi con una crescita in affanno.
Inflazione oltre il target della Fed
L’inflazione rimane uno degli ostacoli principali per la ripresa. L’indice PCE Personal Consumption Expenditures, il principale parametro seguito dalla Fed, ha toccato quota 2,8%, ben oltre il target del 2% (June 2025).
Questa situazione mette la banca centrale in un dilemma: alzare ulteriormente i tassi per contenere l’inflazione rischia di soffocare la domanda e aggravare il rallentamento, mentre una politica monetaria più morbida potrebbe rilanciare i consumi ma alimentare nuove pressioni sui prezzi.
Il presidente della Fed, Jerome Powell, ammette la possibilità di ulteriori rialzi entro fine anno se i prezzi non rallentano in modo significativo e ha comunque ribadito l’intenzione di restare “data-dependent”, il che significa che non prenderà decisioni prestabilite o automatiche, ma adatterà la propria politica monetaria (ad esempio, tassi d’interesse o quantitative easing) sulla base dei dati economici più recenti. In altre parole, le decisioni su rialzi o tagli dei tassi verranno prese volta per volta.
Le politiche commerciali pesano sulle imprese
Tra i fattori che amplificano la vulnerabilità economica c’è logicamente il ritorno delle politiche tariffarie. L’annuncio, già a inizio aprile, di nuovi dazi sulle importazioni cinesi per 18 miliardi di dollari incluso il raddoppio delle tariffe sui veicoli elettrici ha creato tensioni nel commercio globale e maggiore incertezza tra gli operatori
Secondo Zandi, le tariffe imposte durante l’amministrazione Trump e mantenute (o rilanciate) dall’amministrazione attuale continuano a ridurre i margini delle imprese statunitensi e il potere d’acquisto delle famiglie. Le imprese, di fronte all’aumento dei costi e all’instabilità geopolitica, hanno bloccato i programmi di assunzione e rallentato gli investimenti in nuovi progetti.
In settori come manifattura e costruzioni, si registrano dati in contrazione: l’indice ISM Manufacturing è sceso sotto i 50 punti, soglia che indica recessione del settore, e gli investimenti in nuove abitazioni hanno mostrato una forte decelerazione.
Previsioni: rallentamento o recessione?
Il PIL statunitense è cresciuto del 3% nel secondo trimestre, ma le previsioni per il terzo indicano una decelerazione verso il 2,1% (Fonte: Federal Reserve Bank of Atlanta – GDPNow Forecast). Un rallentamento che, combinato con il calo delle assunzioni e l’inflazione elevata, alimenta l’ipotesi di un hard landing ovvero di uno scenario economico che passa bruscamente da una fase di crescita a una di recessione.
Alcuni analisti sperano ancora in un “soft landing”, cioè una frenata contenuta senza contrazione tecnica, grazie alla tenuta di alcuni settori e all’assenza, per ora, di licenziamenti di massa. Tuttavia, molti economisti, tra cui quelli del Conference Board, segnalano che l’indice anticipatore dell’economia USA (LEI) è in calo da 14 mesi consecutivi, storicamente un forte indicatore di recessione imminente (LEI, July 2025).
Le autorità economiche statunitensi si trovano di fronte a un bivio: intervenire per evitare la recessione o mantenere una linea dura contro l’inflazione. I prossimi mesi saranno decisivi per valutare la direzione dell’economia. Nel frattempo, il comportamento dei consumatori, i dati sull’inflazione core e le decisioni sui tassi da parte della Fed resteranno sotto i riflettori. Gli Stati Uniti non sono ancora in recessione, ma ci sono tutti i segnali per affermare che la finestra di intervento si sta rapidamente restringendo.

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