Israele nel mirino: tra accuse per i giornalisti uccisi e crescente isolamento

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Critiche internazionali, tensioni interne e riconoscimento della Palestina: il governo Netanyahu affronta una congiuntura complessa

Israele si ritrova sotto crescente pressione sul piano internazionale: l’uccisione di reporter di Al‑Jazeera nella Striscia di Gaza ha suscitato una vasta ondata di condanne, alimentando un isolamento de facto che, stando a un’analisi del Jerusalem Post, il Paese non aveva mai sperimentato prima su tanti fronti contemporaneamente. Dalle relazioni diplomatiche alle tensioni interne, passando per la spinta globale al riconoscimento dello Stato di Palestina, tutte le sfide convergono su Benjamin Netanyahu e la sua coalizione, già considerata la più estrema nella storia dello Stato ebraico.

Il Daily Focus di ISPI affronta oggi l’argomento con particolare impegno.

Attacco ai cronisti: scoppia l’indignazione mondiale

L’uccisione adiacente all’ospedale al‑Shifa dei giornalisti di Al‑Jazeera, tra cui Anas al‑Sharif, ha sollevato un’eco intensa sulle cronache internazionali. Il Guardian definisce l’episodio come «l’eliminazione di alcune delle poche voci ancora presenti» nella Striscia, osservando che «i corrispondenti internazionali ormai entrano a Gaza solo accompagnati e senza poter comunicare con la popolazione» 

Nel frattempo, il presidente francese Macron ha chiesto un intervento dell’ONU per stabilizzare la situazione nella Striscia, criticando una possibile occupazione israeliana come «un disastro di gravità senza precedenti» come riporta The Times.

Immagine in frantumi e contestazioni mediatiche

Il governo israeliano e le IDF hanno difeso l’operato affermando che Sharif era un «agente attivo dell’ala militare di Hamas», citando fonti di intelligence. Tuttavia, organismi internazionali come l’ONU, l’UE e ong della stampa hanno chiesto prove chiare e aperto le strade a possibili indagini.

Sul fronte dell’immagine, si aggiunge la risonanza generata dalla copertura mediatica: The New York Times si è visto accusato da Netanyahu di diffondere una narrativa fuorviante sulle condizioni di Gaza, in particolare in seguito a una ritrattazione legata alla vicenda di un bambino fotografato in condizioni critiche, poi chiarito come affetto da condizioni mediche pregresse. Parallelamente, un’indagine del Guardian ha denunciato la responsabilità della Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta da Israele e dagli USA, in quasi 1.400 morti durante la distribuzione di aiuti-

Crescente isolamento diplomatico

La pressione diplomatica continua a salire: venticinque ministri esteri, tra cui quelli del Regno Unito, Francia, Spagna e Giappone, hanno richiesto un flusso massiccio di aiuti a Gaza, denunciando livelli di sofferenza oramai “inimmaginabili” e paventando il rischio di una crisi umanitaria senza precedenti. Anche il governo italiano si sta muovendo in tal senso. L’Australia ha annunciato il riconoscimento dello Stato di Palestina all’Assemblea ONU di settembre, una mossa celebrata da Hamas e criticata dalle opposizioni interne australiane.

L’altra faccia del conflitto: divisioni in patria

La situazione dentro Israele non è da meno: tensioni tra il ministro della Difesa Israel Katz e il capo di stato maggiore Eyal Zamir hanno acceso il dibattito sulle nomine chiave nelle IDF. La disputa seguirà ovviamente proiezioni politiche ed etiche, specialmente su un possibile ampliamento delle operazioni militari a Gaza City.

Il clima si fa incandescente: piloti in riserva e in pensione si stanno radunando davanti al quartier generale delle IDF a Tel Aviv per chiedere la fine della guerra. Inoltre, domenica 17 agosto, è stato indetto uno sciopero generale dalle famiglie dei caduti del 7 ottobre e degli ostaggi ancora detenuti. Anche Yair Lapid, leader dell’opposizione, ha invitato i sostenitori del governo a unirsi alle proteste, un segnale che il fronte interno è tutt’altro che coeso.

Secondo un sondaggio riportato da Vox, nonostante la maggioranza degli israeliani sia favorevole a un cessate‑il‑fuoco, l’empatia nei confronti della popolazione di Gaza rimane limitata e condizionata da retoriche nazionaliste persistenti. Solo una minoranza progressista sembra muoversi verso una maggiore consapevolezza della crisi umanitaria. 

Israele si trova oggi a confrontarsi con una crisi che mescola diplomazia, informazione, dissenso interno e diritti umani. Le immagini dei giornalisti assassinati si sovrappongono alle drammatica condizioni di vita nella Striscia, mentre le divisioni politiche interne e l’isolamento diplomatico si accentuano. In attesa di risposte chiare a livello giudiziario, umanitario e politico, l’ombra di uno Stato sempre più isolato incombe sul governo Netanyahu.