Lingotti d’oro sotto attacco: le nuove tariffe USA scuotono il commercio globale. Impatto significativo in Svizzera

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Lingotti d’oro sotto attacco. Dal caso Svizzera ai rischi per le catene di approvvigionamento mondiali

Le nuove tariffe imposte dagli Stati Uniti sui lingotti d’oro da un chilo rischiano di avere effetti ben più ampi del previsto. Annunciate con l’obiettivo dichiarato di rafforzare la sicurezza nazionale e proteggere l’industria aurifera interna, queste misure rappresentano un potenziale scossone per gli equilibri commerciali globali. Colpendo una forma di oro ampiamente standardizzata e utilizzata – circa il 25% della domanda globale passa da questi lingotti – la decisione statunitense tocca in pieno il cuore delle catene di approvvigionamento internazionali, innescando nuove tensioni economiche e politiche.

Tra i primi a farne le spese ci sono le raffinerie svizzere, che da decenni rivestono un ruolo centrale nel mercato mondiale dell’oro. Il timore è che gli effetti negativi si propaghino ben oltre il comparto, alimentando dinamiche protezionistiche in altri settori e generando un clima di sfiducia che potrebbe contagiare intere filiere.

La Svizzera nel mirino, ma le ripercussioni arrivano ovunque

La Svizzera raffina circa il 60-70% dell’oro mondiale. Le sue raffinerie, note per l’altissima qualità del prodotto, potrebbero ora risultare meno competitive rispetto a quelle di Paesi non soggetti ai dazi USA. Questo potrebbe determinare una riallocazione dei flussi commerciali verso altre giurisdizioni, penalizzando l’industria elvetica sia in termini di export che di occupazione.

Il rischio è che il caso dei lingotti d’oro diventi un precedente per nuove politiche commerciali restrittive, alimentando una spirale protezionistica che colpisce anche altri settori strategici. In un contesto di crisi energetiche e tensioni geopolitiche, la fiducia negli scambi internazionali e nella libera circolazione delle merci si fa sempre più fragile.

Ritorsioni e incertezza: una minaccia per l’intero commercio mondiale

Il provvedimento americano ha già sollevato preoccupazioni tra partner storici come la Svizzera, ma i suoi effetti potrebbero estendersi ben oltre l’oro. In un’economia globalizzata, ogni tassello della catena del valore è interconnesso. L’introduzione di barriere commerciali, anche su prodotti di nicchia, rischia di creare precedenti che giustificano ulteriori dazi, innescando ritorsioni a catena e danneggiando la cooperazione multilaterale.

L’aumento dell’incertezza mina la pianificazione degli investimenti, rallenta le decisioni strategiche delle imprese e spinge verso una maggiore frammentazione del commercio internazionale. A farne le spese potrebbero essere settori molto diversi tra loro: dalla tecnologia alla farmaceutica, fino all’energia e all’automotive, che dipendono da approvvigionamenti globali efficienti e prevedibili.

Le contromosse del settore aurifero

In risposta, molte raffinerie stanno già riconsiderando le proprie rotte commerciali. Alcune hanno temporaneamente interrotto le spedizioni verso gli Stati Uniti per valutare l’impatto delle nuove tariffe. Le associazioni di categoria chiedono un dialogo aperto e urgente tra le parti per evitare un’escalation.

Nel frattempo, il comparto sta esplorando nuove soluzioni: dalla diversificazione dei mercati al rafforzamento della trasparenza e dell’efficienza nella catena di fornitura. Le imprese svizzere stanno valutando collaborazioni con Paesi terzi, come Singapore o gli Emirati Arabi Uniti, dove la pressione tariffaria è assente o minore.

Il rischio più immediato resta la perdita di quote di mercato a vantaggio di competitor meno penalizzati. Ma lo scenario a lungo termine prevede una trasformazione delle rotte e delle alleanze commerciali, con potenziali ripercussioni strutturali sull’intero sistema dell’oro.

Gli effetti boomerang sull’economia USA

Paradossalmente, le stesse imprese americane potrebbero subire danni significativi. Settori come l’elettronica, la gioielleria e l’aerospazio dipendono da forniture di oro raffinato di alta qualità, che ora rischia di diventare più costoso. Le aziende, costrette ad assorbire o trasferire l’aumento dei costi, potrebbero perdere competitività rispetto a concorrenti internazionali.

Anche il settore minerario americano, che si intendeva proteggere, potrebbe non beneficiarne davvero. Le raffinerie statunitensi, meno attrezzate per certi standard produttivi, potrebbero non riuscire a coprire il fabbisogno interno. Ne deriverebbe una contrazione degli investimenti e delle esportazioni, peggiorando il saldo commerciale invece di migliorarlo.

Inoltre, eventuali ritorsioni da parte di altri Paesi – ad esempio su metalli, tecnologie o prodotti agricoli – potrebbero colpire duramente l’export americano, soprattutto in un momento in cui la crescita economica globale rallenta e l’inflazione resta elevata.

Un caso di studio per la nuova geoeconomia

Le tariffe sui lingotti d’oro rappresentano un campanello d’allarme. Non solo per le raffinerie svizzere o per l’industria aurifera globale, ma per il sistema commerciale internazionale nel suo complesso. In un’epoca in cui le interdipendenze sono profonde e i rischi sistemici elevati, ogni decisione unilaterale può avere conseguenze imprevedibili e diffuse.

Il commercio mondiale, già provato da pandemie, guerre e shock energetici, non può permettersi ulteriori fratture. È urgente un ripensamento delle politiche commerciali, orientato alla cooperazione e alla stabilità. Altrimenti, anche misure apparentemente circoscritte come un dazio sull’oro rischiano di aprire crepe difficili da ricucire.