Il boom degli utili societari spinge le azioni verso nuovi massimi

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Ad ottobre, l’indice S&P 500 ha guadagnato il 7%, raggiungendo un nuovo valore massimo, dopo che l’83% delle società al suo interno ha superato le attese degli analisti nella stagione degli utili del terzo trimestre, mentre l’indice di riferimento globale MSCI World è avanzato del 5,8%. Questi rialzi sono stati registrati al netto dei timori causati dagli effetti negativi del rincaro dell’energia sul potere di spesa dei consumatori, l’indebolimento della crescita cinese e l’inversione del tratto a lunga scadenza della curva dei rendimenti USA, che tradizionalmente segnala un rallentamento imminente.

Le turbolenze che stanno caratterizzando il mercato obbligazionario possono essere un cattivo presagio per i titoli growth, altamente sensibili alle aspettative di aumento dei tassi, al peggioramento delle prospettive di inflazione e a qualsiasi riduzione dei programmi di stimolo delle banche centrali. Tutti questi scenari sarebbero teoricamente sfavorevoli per i profitti futuri attualizzati delle imprese.

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A fine ottobre abbiamo assistito ad un’impennata dei tassi di interesse a breve e ad un ‘bear flattening’ della curva dei rendimenti statunitense. Sulle scadenze più lunghe la curva si è addirittura invertita, segnalando potenziali problemi per il ciclo economico. I recenti timori relativi all’inflazione hanno indotto gli investitori ad anticipare le attese di un rialzo dei tassi e di un conseguente ridimensionamento dei bilanci delle banche centrali. Storicamente, si registra una correlazione positiva tra la forma della curva dei rendimenti e le successive prospettive per gli utili.

Sono stati evidenziati tre motivi per cui i mercati azionari sono rimasti imperturbati davanti a tutto questo, trainati dalla marcia inarrestabile delle società statunitensi. In primo luogo, la stagione degli utili del terzo trimestre mostra che le aziende si stanno adattando facilmente all’incremento dei costi di produzione, con margini di profitto complessivi in aumento al 12,4%, contro ogni aspettativa.  A differenza del precedente trimestre, l’83% delle società dell’S&P 500 che hanno battuto le aspettative ha beneficiato anche di una reazione positiva dei prezzi azionari. In secondo luogo, nonostante le turbolenze del mercato obbligazionario, i tassi reali statunitensi sono rimasti in territorio ampiamente negativo, sostenendo elevati multipli prezzo/utili (P/E) per il comparto azionario.

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Infine, il segnale sulla crescita proveniente dal recente appiattimento della curva dei rendimenti è debole, forse per via di fattori tecnici ancora nascosti, come l’acquisto da parte dei trader di derivati e un significativo ribilanciamento di fine mese.

Gran parte della crescita azionaria è imputabile alla ripresa degli utili, favorita dallo sblocco della domanda rimasta inespressa dei consumatori, ora che le restrizioni anti Covid-19 sono state in gran parte revocate, sostenendo i consumatori verso una ripresa nei consumi. Le prospettive per i consumatori dei mercati sviluppati rimangono molto favorevoli, visto il miglioramento delle condizioni sul mercato del lavoro, l’attuale volume di risparmio in eccesso e il livello storicamente elevato della ricchezza netta delle famiglie. Ciò dovrebbe sostenere la crescita dei ricavi aziendali.

Non mancano però risvolti negativi, in primis l’erosione del potere di spesa dovuto al rincaro dell’energia, seguito dai problemi della Cina, che esercita un’influenza poderosa in quanto seconda maggiore economia mondiale e motore della crescita globale.

L’indebolimento del sentiment dei consumatori suggerisce che alcuni iniziano a scoraggiarsi di fronte agli alti prezzi dell’energia e dei beni di consumo. Inoltre, l’economia cinese mostra segni di crescente contrazione, pur rappresentando il 30% della crescita globale. Non vi sono ancora indicazioni per un significativo allentamento monetario finalizzato a contrastare l’attuale rallentamento derivante dalla stretta normativa in Cina e dalla crisi energetica, per cui questo fattore rimane ancora un timore rilevante per noi nel breve termine. Il mercato potrebbe sottovalutare questo rischio, poiché una contrazione della crescita cinese penalizzerebbe indirettamente i mercati azionari globali. Alcune imprese dei mercati emergenti generano il 25-45% dei propri ricavi in Cina, ma lo stesso vale anche per alcuni settori negli Stati Uniti.

A questo si aggiunge la tanto attesa riduzione delle misure di stimolo che hanno sostenuto le economie durante la pandemia. Nell’ultimo decennio si è registrata una forte correlazione tra i bilanci delle banche centrali e la performance del mercato azionario, guidata dall’espansione sottostante del multiplo prezzo/utili. Con l’annuncio dell’inizio del ‘tapering’ da parte della FED entro metà novembre, la marea di liquidità in eccesso quasi illimitata sta iniziando a recedere, mentre gli istituti di emissione di altri mercati sviluppati hanno già avviato il ciclo di innalzamento dei tassi.  Nel complesso, gli investitori dovrebbero godersi il rally finché dura, ma rimanendo attenti alla possibilità che le forze macroeconomiche negative prendano finalmente il sopravvento.

Nei prossimi 6-12 mesi le valutazioni azionarie dovrebbero diventare più sensibili a un modesto aumento dei tassi di interesse reali. Stando ai livelli assoluti delle valutazioni, i titoli azionari sono attualmente molto costosi; il CAPE di Shiller si attesta al momento a 39, un livello osservato soltanto all’apice della bolla informatica del 2000. A differenza di allora, i tassi reali dovrebbero rimanere contenuti mentre i premi al rischio azionario sono molto più elevati rispetto ai livelli del 2000, limitando il rischio di ribasso. Ciononostante, prima di rivedere la nostra esposizione azionaria, aspetteremo di avere maggiore chiarezza sulla Fed, di osservare un’inversione positiva del credit impulse in Cina e un’attenuazione dei timori di stagflazione nel mercato obbligazionario.